Lettera d’amore per Diana

di Simone Lisi

Gli imbianchini son persone, come te e me, lo sapevi? Benni è albanese e prima guidava i camion. Ora fa l’imbianchino precario, per Claudio. Claudio fa l’imbianchino da mille anni e prima di lui altri Claudi come lui hanno imbiancato, alzandosi presto al mattino, guidando il furgone fino in città. Lui, Claudio, vive a Montespertoli e tifa per la Juve, perché gli sta un po’ sul cazzo Firenze come città e i fiorentini, quindi anche la squadra; preferisce la Juve che gli dà l’idea di essere italiano e quindi basta, vaffanculo. Claudio è un tipo un po’ brusco.

A loro non interessa molto il calcio, era solo un canale che ho provato a usare per entrare nei loro cuori così bianchi, ed ha funzionato; al che oggi come ieri abbiamo mangiato tutti e tre insieme, anche se prodotti alimentari distinti. Loro le schiacciate della Coop e gli affettati nella carta argentata, tipo mortadella; io degli avanzi della cena di ieri, tipo del riso, oppure della focaccia ancora mezza surgelata. Mi hanno lasciato un po’ della loro schiacciata con l’uva; io invece ho preparato il caffè per tutti, che poi abbiamo bevuto parlando – sopratutto io – di sigarette, dello smettere, anche se loro non hanno mai fumato, oppure parlando di telefoni cellulari e di telefonia – Claudio ha idee affascinanti al riguardo – e parlando di te, anche se la conversazione, come ti dicevo, non l’ho innescata io, ma loro, e io l’ho solo riempita con parole scintillanti e concetti facili, ma non semplici, perché penso che poi con le mie parole nelle orecchie ci torneranno a casa.

Non dico niente di strano o di eccezionale: è il mondo del lavoro che a noi, a me e a te, appare Leggi il resto dell’articolo

Pubblicità

Caffè Notte, attesa

di Simone Lisi

La scrittura è diventata per me come la morale: qualcosa che faccio quando non ho la forza di fare altro. Quando aspetto.
Guardo fuori dalla finestra, dove si muovono masse di persone. Tra di loro non c’è nessuno che conosco. Aspetto Lapo, aspetto Silvia, aspetto Diana che torni dall’America, Leon Marco Camilla che tornino da dove sono, aspetto martedì 4 aprile per iniziare a lavorare.

Scrivo l’ennesima nota inutile grazie a un pastiche che non ho pagato perché non ho un euro sulla posta-pay. Qualcosa ci sarebbe, ma sono meno di venti euro, per cui avrei bisogno di un sportello bancomat a monete. Scrivo questa cosa inutile e attendo Silvia o Lapo, che arrivino a saldare il conto dei pastiche che intanto sono diventati due. L’attesa e lo scrivere hanno così una forma circolare. Fuori dalla finestra, ancora, masse di persone che si muovono.

Abbiamo praticato yoga in mezzo al traffico, coi sensi di marcia invertiti con lo sciopero degli autobus e dei benzinai, con la maratona che bloccava la città. Abbiamo praticato yoga con la musica di Lana del Rey, di Rihanna, di Jay-Z, con quella dei Radiohead – poveri Radiohead – e ancora con quella di Rihanna. Abbiamo praticato molto yoga ultimamente, ma Leggi il resto dell’articolo

Note per Blackberry

di Simone Lisi

I. L’epoca di mio padre
All’epoca di mio padre, quando era giovane intendo, il termine cliccare non esisteva.
Non dico skippare, non dico spoilerare, dico cliccare.
Ho detto flaggare? Ho detto cliccare.

II. Ti entrano nel computer
Un giorno vicinissimo saranno queste il genere di minacce che le madri rivolgeranno ai figli, dopo le minacce di zingari, siringhe, aidiesse: è sempre la stessa storia.

III. Onda
Prevedo di arrivare da Giulio (Giuliano, ovvero Carmelo) con lieve ritardo causa circumnavigazione della città. C’è un’onda misteriosa, che qualcuno chiama Verde, che a volte puoi trovare sui viali, la grande avenida che gira attorno al centro vuoto della città e che se prendi dalle parti della Fortezza ti porta fino a San Niccolò, senza mai fermarti, senza mai appoggiare i piedi a terra, senza mai accelerare e decelerare, che ti dimenticherai tutto ciò che Leggi il resto dell’articolo

Il mestiere del postino

di Simone Lisi

Il mestiere del postino ha un santo protettore: Carlo Bukoswki. I postini si muovono in motorino, coi loro motorini vecchi mezzi scassati che ogni tanto si fermano. Allora si nascondono nei bar o negli androni, dove è fresco. I postini si muovono per la città, l’attraversano, consapevoli o semiconsapevoli che la città gli appartiene, che le strade si aprono a loro, che le scorciatoie, gli incroci, che i lavori al manto stradale, i locali nuovi e quelli che chiudono, si dispiegano a loro, sono come un libro. Poi suonano i campanelli e la gente è scostante, annoiata, ha caldo, ha freddo, è stanca, non lavora, e soprattutto non ha voglia di firmare raccomandate. Oppure non ha nessuna delle cose di prima e ha una enorme voglia di firmare per tutti, anche per i condomini assenti, così da poterli dopo intercettare, scambiare due chiacchiere: l’amministratore di condominio come una promessa di felicità. Io in ufficio attendo i postini e lavoro la loro posta. Postalizzo, che è un verbo inesistente fino a due mesi fa, anche al Devoto Oli. Postalizzo dalle nove alle tre, poi attendo i postini, telefono ai postini se ci sono emergenze, oppure ricevo telefonate dai postini se i loro motorini si sono fermati e le cose si complicano. Io non potrò fare quasi nulla, per loro, ma loro lo sanno che, se io potessi, farei qualunque cosa. I postini sono per me come Leggi il resto dell’articolo

Ludopatici

di Simone Lisi

08.00 pm

Al bar di via Macci, angolo via Ghibellina, non c’è nessuno: son le otto di sera, voglio dire. La gente alle otto non dovrebbe essere da Giuliano. La gente per bene, ma anche quelli marci, alle otto saranno altrove perché qui non è possibile.
C’è la televisione accesa sul primo. Mi chiedo se, quando a minuti inizierà il Tg nazionale, Giuliano cambierà canale, spostando su qualcosa di più consono. E invece no, Giuliano non cambia canale. Ascoltiamo le notizie assieme, non commentiamo. Tutto torna.

Ecco, entra un avventore, è un habitué, lo si capisce dal modo di interagire con lui. Le notizie del telegiornale vengono seguite da Giuliano, dall’habitué e da me. I due commentano a voce alta mentre io, appuntando questa nota, li osservo e commento, perdendo le loro perle di saggezza: sono talmente belle, come le cose vere che non si possono né trascrivere né riprodurre, così mi perdo nel riportarle. Bevo una birra. Domani si vota, dicono al Tg. Domani si vota e si abbassano le temperature Leggi il resto dell’articolo

Oggi

di Simone Lisi

Ho passato le ultime giornate a non fare niente. Cosa non da poco. Alle volte ho cucinato per mia madre. Ho passato molto tempo sul computer, a osservare i lievissimi spostamenti di status, le sottili modificazioni di umore dei miei contatti Facebook e dei loro rispettivi contatti, che sono gli amici degli amici; così che poi, se un giorno li dovessi incontrare per strada, se solo uscissi, magari potrei anche riconoscere. Allora mi fermerei un attimo a pensare: ma dove l’ho conosciuto questo? Non l’ho conosciuto, l’ho solo visto, ma non c’è solo questo. Ho anche letto che cosa Leggi il resto dell’articolo

Tornando a casa, o come divenni scrittore

di Simone Lisi

Faccio la strada per tornare a casa con Nati e Camille. L’allungo, la strada: loro vanno in Triana mentre io sarei già arrivato. Allungo la strada e le espadrillas, che a noi italiani suonano così spagnole ma che qui chiamano esparco, mi si impregnano d’acqua perché lavano le strade, la notte, a Siviglia, e le suole sono di corda, e quando arriverò a casa (perché a un certo punto si torna anche a casa) saranno dure e pesanti per tutta l’acqua assorbita semplicemente camminando, andando, tornando a casa.
Se allungo la strada non è tanto per la storia delle scarpe che diventano dure e pesanti perché si impregnano di acqua, questo non rende affatto la passeggiata piacevole, e non allungo la strada perché non ho voglia di tornare a casa (e che quindi un altro giorno è finito) e nemmeno per una questione di galanteria o perché voglio finire con una delle due o tutte e due insieme. Il fatto è dovuto piuttosto alle condizioni strutturali di questa ennesima vuelta, questo ennesimo ritorno a casa dopo una sera essenzialmente inutile, senza senso. Il fatto è che non siamo in tre, ma siamo in cinque. Con noi c’è un senegalese dal nome impronunciabile per noi europei, si fa chiamare Jimi e per questo lo chiameremo Jimi. L’abbiamo raccattato dalle parti di Alameda, anzi lui si è attaccato, aveva conosciuto Camille una notte precedente e se la voleva fojare. Perché Camille è bionda e francese e si sbronza e finisce a letto con uomini di cui poi non si ricorda. E giustamente Jimi vuole essere uno fra i tanti, o forse uno diverso dai tanti, per questa Camille bionda francese che si sbronza e Leggi il resto dell’articolo

La coerenza

di Simone Lisi

Si tornava dal Poetto in autobus, senza regolare titolo di viaggio, ed era estate. Quasi trentenni, quasi finita l’università e quasi in partenza, alla fine di quella stessa estate, per destinazioni improbabili e possibili o inutili. Da fuori: un gruppo di quasi trentenni, con almeno tre accenti diversi tra loro, su di un autobus che va dalla spiaggia alla città, che parlano di mostre di Morandi a cui non sono andati e della morte recente della moglie di Christo, che si parlano addosso e non dicono niente e poi si fanno silenziosi e cupi e guardano fuori dal finestrino e si soffermano a osservare a lungo, senza fiatare, un loro quasi coetaneo, disabile, vestito da bambino, tenuto per mano dal padre, o da quello che si augurano essere il padre. I vestiti di noi che guardiamo il disabile, invece, sono lievemente pensati, sottilmente particolari, senza cercare eccessi o espressionismi, con lo stile autoreferenziale canonico dei primi anni Dieci. Da dentro (in breve): gente incoerente. Incoerenti non tanto (e non solo) per l’assenza di biglietto dell’autobus, visto l’evidente status di-ciò-che-in-altri-tempi-si-sarebbe-detto-borghese. L’assenza di biglietto non era certo Leggi il resto dell’articolo