L’ORA MIGLIORE E ALTRI RACCONTI

Esce in questi giorni in libreria L’ora migliore e altri racconti (Edizioni Il Foglio, 2011), una raccolta di storie più o meno brevi scritte da Simone Ghelli in questi ultimi anni.

Quella che segue è la “Premessa dell’autore”.

 

L’acqua è un elemento che mi accompagna sin dalla nascita.

Quella di un fiume mi salvò la vita che avevo visto la luce da appena tre giorni, e m’indicò la strada per gli studi, diversi anni dopo: del primo non ho mai saputo il nome, mentre del secondo ricordo che era la Senna, quello su cui si muove L’Atalante di Jean Vigo – ancora in bianco e nero, come questi caratteri su carta.

L’acqua, elemento metamorfico per eccellenza e sintomo di cambiamento, mi segue da sempre anche nei sogni; d’altronde è l’habitat del mio segno, che comunica col mondo dei morti.

Questi racconti abbracciano un arco temporale lungo sei anni, durante i quali l’acqua ha continuato ad accompagnarmi nel mio modo di procedere, di farmi portare dalla scrittura anziché anteporle una trama; forse perché la mia vita, sin dall’inizio, è stata messa in mano d’altri.

Lo so che un Autore non dovrebbe mai parlare in questi termini, dare il minimo segno di cedimento, ma il mio destino è quello d’immergermi sotto la superficie. Questo non significa che mi piaccia scrivere in apnea, di getto; è vero piuttosto il contrario: il fatto di aver sfiorato la morte mi ha distolto fin da subito dalla cattiva abitudine di confondere la scrittura con la vita.

Non so se tutto questo c’entri col fatto che sul mio cammino io abbia incontrato spesso la follia (per me l’atto stesso di scrivere, la compulsione che mi spinge, lo è); per certo attraverso tutte queste storie ho cercato di ricavarne un disegno: una sinfonia che si apre e si chiude con un sogno (o un incubo).

Tutto quello che si trova nel mezzo lo lascio al vostro sguardo.

 

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La camera oscura

Mi sto svegliando.

Le palpebre ancora incollate e tra i miei occhi e il buio, galleggianti chiazze color muco.

Chiazze informi, che nell’aprirsi lento degli occhi si dissolvono sulla parete a cui mi ritrovo appiccicato.

Sento bagnaticcio tra le gambe, la mamma me l’aveva detto di starci attento ai sogni sporchi.

Mi devo alzare. Il letto è incastrato in un angolo della stanza e adesso pure io con lui.

Mi alzo e osservo l’impronta del corpo impressa calda sul materasso.

All’altro lato della stanza c’è una scrivania.

Appese al muro, penzolano storte alcune fotografie.

In quella più a destra ci sei Tu. Sei in sella ad un cavallo al pascolo, probabilmente nel giardino della villa.

La osservo. Il tuo sguardo non è sereno; eppure sono sicuro che in quella foto, qualche giorno fa, Tu sorridessi e sono altrettanto convinto che il cavallo fosse leggermente più sulla destra, circa all’altezza della quercia e il suo muso fosse puntato in mia direzione.

Un caffè già zuccherato aspetta caldo nella tazza color crema sul comodino, due brioches, appoggiate su un piatto in tinta con la tazzina, una è già smangiucchiata; un’altra tazza è sulla scrivania, già svuotata, già fredda.

Non filtra luce dalle imposte, filtrano solo i suoni e gli odori dal giardino.

Sulla scrivania è appoggiata la lettera che sto tentando di scriverti; anche durante questa notte è avanzata di qualche altra riga, brevi tracce dei sogni di stanotte, che però adesso non ricordo.

E’ la lettera che se li ricorda per me.

E quando al tuo ritorno la troverai, ne sarai felice.

Io lo so bene quanto ti piaccia trovare le mie lettere.

Una volta presa dalla cassetta, già ti vedo correre sul letto e poi a gambe incrociate con la schiena appoggiata alle parete le apri e ti immergi nelle mie tante tante righe, come se il mondo al di fuori di questa camera non esistesse.

Ti ho sempre immaginato tanto felice e talmente impressionata dalla bellezza delle mie lettere. Talmente emozionata al punto di non trovare mai le parole giuste per rispondermi.

Una mappa geografica dell’Europa è appesa vicino la finestra, mi ricorda quella che c’era nella nostra classe, quando eravamo vicini di banco.

Questa ha tante puntine che segnano altrettante località,

Puntine dello stesso color giallo, ma c’è ne è una nuova, color malva.

Devo essermi distratto, ma non ricordo quando tu sia andata a Malta.

Ricordo ogni tua partenza e ogni tuo ritorno almeno fino al viaggio di nozze.

Circa ogni ora bussano alla porta, io non rispondo mai; in fondo non è camera mia e non è educato, poi da sotto l’uscio sfilano foglietti tutti uguali; 10 x 15 circa, scritti a penna o matita o pennarello. Li raccolgo, neanche li leggo: non sono per me, saranno di qualcuno che è venuto a disturbarti. Allora li accartoccio e li butto nel cestino: stasera sarà poi colmo raso.

Così era pieno ieri sera. Eccolo li nell’angolo; stamattina è lì vuoto e sotto l’uscio compare il primo messaggio.

Non filtra alcun raggio di sole dalle persiane, ma fuori sento vociare di gente; i tuoi fratelli che giocano nella piscina.

Chissà se nel prato del giardino passeggia il cavallo della foto; deve esserci da qualche parte, di sicuro non nella posizione della foto, ma per forza deve esserci; tu dove potresti essere altrimenti?

Sicuramente non li

Quella quercia non ti era mai piaciuta poi. Ricordo il giorno che sono venuto per la prima volta a trovarti: stavamo giocando proprio attorno a quel bellissimo albero si è messo improvvisamente a piovere e io mi sono avvicinato a te.

Mi hai detto che sarebbe stato meglio tornare verso la casa, perchè ti faceva paura, la quercia.

Accendo la radio, c’è la nostra canzone, quella bella, canzone melodiosa che ti dedicavo tuti i pomeriggi alla radio.

Te la ricordi bene quella bella, dolce canzone?

Io ricordo bene di averti visto ballarla la sera del matrimonio.

La nostra canzone.

Da quel giorno l’ascolto ininterrottamente, forse è colpa sua se poi faccio quelle cose brutte con le mani.

Non deve essere passato tanto tempo da quel giorno a giudicare dalla rosa con il bigliettino che è ancora nel vaso sul davanzale.

Non è una di quelle che ti ho regalato io, ma mi fa piacere immaginarlo; quelle saranno già morte e pure questa,oramai sta per fare la stessa fine.

Ma è dietro la finestra, che è chiusa e non riesco ad aprire per poterla innaffiare quella povera rosa.

Sopra la finestra l’orologio segna sempre la stessa ora: le undici.

Ma non è fermo, lo so.

Ti spiego: il ticchettìo lo sento chiaro, anche troppo e lo so bene che le lancette si muovono, ma quando lo osservo segna sempre la stessa ora. Forse nella lettera te l’ho anche raccontato; resta fermo, ma secondo me lo fa più per l’impossibilità di tornare indietro che per quella di andare avanti.

Non riesco a spiegartelo.

Lo so, non sono mai stato bravo a farmi capire; soprattutto da te.

Ma le ore passano, lo vedo benissimo: non mi può fregare così e io ti aspetto; mi piace aspettarti, seduto qui sul bordo del letto.

So che tra poco squillerà quel telefono, facendo cadere i fogli che ci sono sopra e che si spargeranno per la stanza.

Ecco è adesso che le pareti cominciano a cambiare colore.

No, te l’assicuro: non è che cambia la luce perché apro le persiane, quelle restano sempre chiuse.

E’ come se dai bordi del soffitto calasse un altro colore a coprire il giallo per poi virarle al rosso,

Il giallo che a te non piaceva,

E quando hanno cambiato del tutto colore è proprio in quel momento che suona il telefono e se chiudo gli occhi e li riapro il pavimento è pieno di foto, foglietti appunti, biancheria sparsa.

Devo mettere in ordine prima che tu torni, mi spiacerebbe che mi trovassi qui con la camera in questo stato.

Anche la mamma me lo dice sempre: non fare cose brutte e tieni tutte le cose a posto. Io, lo sai, ubbidisco sempre alla mia mamma.

Sul comodino ho appoggiato il martello, ci ho provato a mettere meglio il chiodo per raddrizzare la cornice, per fartela trovare più bella quando sarai tornata.

Ma poi suona il telefono e io mi distraggo, sbaglio e lo sai: io ci sto male quando sbaglio e allora comincio a colpire il materasso ed ecco le lenzuola prendere il colore del sangue, quel colore che immagino ogni tanto lasciassi come traccia; come nelle tue mutandine che ancora conservo.

E quel colore si sparge, è una macchia che avanza veloce dal cuscino fino ai piedi del letto, ma meno male non cade per terra, non saprei proprio come pulire.

Poi a poco a poco il sangue si raccoglie nell’incavo dell’impronta fino a sparire.

E la foto è sempre li, un po’ storta, e forse è questo che fa cambiare il tuo sguardo.

La raddrizzo.

Tu però continui a non sorridere; forse è per colpa di tutto questo sangue?

Ora ricordo: il sangue ti infastidiva, ti rendeva nervosa. Anche quella volta che sono venuto a trovarti e mi ero appena fatto di corsa la barba ed ero pieno di taglietti; tu non volevi baciarmi o come quando entrai quel pomeriggio che eri malata nella tua stanza. Era bella la tua stanza, tutta rossa e la tua camicia da notte color crema era bellissima, tranne quella macchia li in mezzo.

Neanche il colore della stanza ti piaceva.

Mi dicesti che quando ti saresti sposata l’avresti tinta tutta di bianco, quel rosso ti imprigionava, ti sentivi come impressionata su una fotografia

Dicesti esattamente quella parola, “IM PRES SIO NA TA” calcando le sillabe.

E mentre guardavi fuori dalla finestra, ti immaginavo seduta e triste con la tua bella camicia da notte, rinchiusa in una gabbia tutta rossa mentre arrivavo su quel bel cavallo a salvarti.

Te l’ho scritto in una lettera, quella che ho ritrovato in giardino e che probabilmente qualcuno aveva voluto accartocciare e buttare via: mi piaceva la tua camicia da notte.

Dopo il matrimonio sei andata via; quando sei tornata ti sono venuto a trovare.

Volevo fare l’amore con te quel giorno, mentre i tuoi fratellini facevano il bagno nella piscina e potevamo approfittare di quel momento, ma tu corresti via dicendo che ti era parso che uno di loro si fosse spaventato.

O forse è perchè con le mani stavo facendo quelle cose brutte?

La mamma mi aveva avvisato di starci attento.

E allora decisi di scriverti.

Giurai di non smettere mai, perchè così avrei usato le mani per fare delle cose intelligenti e non avrei fatto le cose brutte.

Il sangue si è oramai ritirato, sul materasso resta sempre quell’impronta.

Guardo la foto davanti a me. Non sorridi proprio per nulla ma il cavallo sembra essersi mosso di nuovo, sono sicuro che stesse guardando verso di me.

E’ tardi e tu ancora non sei arrivata.

Bussano ancora , raccolgo il messaggio: è l’ultimo: lo so perché è scritto con un pennarello, di quelli grossi, indelebili di un fastidioso e tanto doloroso inchiostro color verde.

E’ successo qualcosa? Perchè non rispondi al telefono?”

lo butto nel cestino, adesso è colmo.

Fuori è diventato sicuramente buio, nessuna voce dal giardino e il cavallo sarà tornato nella sua stalla.

Sono tanto stanco, torno a dormire.

Mi rimetto a letto, e mi incastro comodo nell’impronta.

Spengo la luce e tutto ritorna nero.

Sento freddo, mi copro con queste coperte di un rassicurante avvolgente color giallo muco.

Quando mi sveglierò, la lettera sarà finita, tu sarai tornata e tutto tornerà come prima.

Prometto che stanotte le cose brutte non le farò, anche se mi piace tanto la tua camicia da notte macchiata; la mamma sarà contenta, anche tu e allora mi sorriderai.

La mamma però non conosce il nostro segreto; lei non lo saprà mai che ho conservato i tuoi denti e mentre ti abbraccio, li stringo in mano sotto il cuscino.

Jacopo Ninni

Precari all’erta! – 2010: la crisi sta finendo!

La crisi sta finendo. Adesso è ufficiale, stanno passando i dati in diretta tv. E’ prevista una ripresa dei consumi e dell’occupazione. Si parla della possibilità di allungare i contratti di lavoro da 3 a 4 mesi. Gl’insegnanti precari potranno finalmente tirare una boccata d’aria. Quelli di storia troveranno forse il tempo di arrivare oltre il Sacro Romano Impero, nelle lezioni d’italiano si potrà magari accennare alla Vita Nova di Dante, mentre in matematica s’imparerà anche la tabellina del nove. Nelle Università il 4×3 sostituirà il 3+2. Non si dovrà più ragionare in prospettiva futura, bensì aggiornare annualmente le proprie aspettative nell’apposita graduatoria denominata “Indice dei sogni e dei bisogni”. E’ questa la ricetta per uscire definitivamente dalla crisi.

Daniela spegne la televisione. Sai che gliene importa a lei, mica le cambia qualcosa. Anzi, che almeno tre mesi erano più veloci di quattro a passare, e l’illusione di trovare qualcosa di meglio del call center in cui lavora da due anni poteva sembrare più credibile. Adesso invece dovrà anche fingere di esser più contenta. Già se l’immagina i sorrisi di sua madre e le pacche di suo padre: vedi figliola che non bisogna mai disperare? Magari ricominceranno pure con la storia della famiglia, che almeno negli ultimi mesi l’avevano lasciata un po’ in pace. Si erano insomma abituati anche loro all’idea di averci una bambocciona a vita tra le mura di casa, una sorta di mutuo senza scadenza con tasso variabile tendente costantemente al peggio. A pensarci bene, nell’epoca dei subprime una figlia del genere non è neanche malaccio come investimento, ché almeno a fine mese 500 euro riesce a portarli a casa. Non c’avrebbe scommesso una lira, ma alla fine ha imparato anche a fare la venditrice, alla faccia dell’anima pura delle belle lettere! Se almeno si decidesse a fare domanda per partecipare a uno di quei giochi a premi con le domande difficili, potrebbe mettere a frutto un po’ di quella cultura che s’è fatta con tanti sacrifici. Suo padre glielo ripete in continuazione, tra uno stacco di coscia e una pubblicità di detersivi, che quello è il lavoro ideale per chi ha una laurea debole come la sua. E’ vero, anche se non si libererebbe comunque di quelle maledette cuffie, ma almeno cambierebbe argomento una volta tanto. A forza d’imparare a memoria i costi e le offerte delle compagnie di telefono, finirà altrimenti col dimenticarsi di tutta quella storia e filosofia di cui s’era perdutamente innamorata.

Per dare il buon esempio suo padre si è già sintonizzato sul suo programma preferito, dove i concorrenti si preparano ad affrontare la prima prova. In palio ci sono fino a 500000 euro. Per chi ha voglia di sensazioni più forti c’è anche la lotteria nazionale, che ha ormai superato il jackpot di dieci milioni di euro e di cui si parla in ogni edizione serale del tg. Daniela non ci ha mai giocato, col suo stipendio non può permettersi di regalare alle ricevitorie dieci euro a settimana. Neanche adesso che avrà un mese in più. Mica le danno l’aumento per quello. Serve solo a far aumentare l’indice di occupazione, a far mangiare un po’ di più quelli che governano, ché per lei il menù resterà sempre lo stesso. Ma di queste cose con i suoi non ne può parlare, perché le ripeterebbero che nella vita basta la salute e il resto vien da sé. Peccato che lei c’abbia messo appena due anni per mangiarsi il fegato dalla rabbia, e ora quella le sta intaccando pure lo stomaco, perché la rabbia è ingorda e vuole sempre qualcosa da mangiare.

Il trillo del cellulare distoglie Daniela dai suoi pensieri accaniti. E’ l’ufficio del personale che la informa del prolungamento del contratto. Come? Se è contenta per il mese in più? Sa dove può infilarselo quel mese?!

Dall’altra parte il segnale di occupato la informa che l’ultima frase è caduta nel vuoto.

Anche per stasera il vincitore non è riuscito a portarsi a casa la ricca portata. Ha sbagliato l’ultima risposta, proprio sul più bello, ma potrà sempre riprovarci domani sera.

Ci vuole più ottimismo, lo dice anche il tg.

Simone Ghelli