Abusi di dovere

[Racconto di Gianluca Liguori pubblicato in precedenza su TerraNullius]

Alle prime luci dell’alba Saverio si leva dal letto dimentico della giovane ragazza bruna che giace nuda al suo fianco. Gliene portano tante, è un viavai di malefemmene, come è solito nominarle. Nemmeno sa se gli piace davvero o lo fa ormai per abitudine. E Saverio, che è un signore, sa che deve, pure quando gliele portano, regalare qualcosa a queste ragazze di cui non ricorda mai i nomi. Questa qui, per esempio, gliel’ha portata ieri sera il dottor Calcepolli, hanno cenato insieme, bevuto due bottiglie di Nero d’Avola, una riserva speciale, un vino che gli rammentava l’odore amaro della sua terra, e poi Calcepolli ha pagato il conto e se ne è andato.

I telefoni di Saverio, da prassi, squillavano di continuo: gli avvocati, chi vuole qualcosa, chi chiede un favore, chi deve dei soldi, chi esige e basta. Appuntamenti su appuntamenti. Persone, incontri. Saverio non usa l’agenda, Saverio tiene tutto a mente. Perché le agende sono pericolose, dice Saverio, le agende sono la prima cosa che prendono i ficcanaso. E Saverio non vuole rogne, Saverio li detesta, i ficcanaso. Saverio fa gli affari, lavora 25 ore al giorno, risolve problemi alla gente, agli amici, agli amici degli amici. Saverio deve dar di conto pure alla famiglia, un altro motivo per cui è meglio tenersi alla larga da rogne e ficcanaso. Saverio è da sempre un gran lavoratore, altrimenti, dice, non sarebbe arrivato così in alto. E gli piace il potere, gli piacciono le cene con gli ospiti che pagano il conto e portano la bella ragazza per la notte. È questa la vita, pensa spesso Saverio, vino, potere e belle donne. Pure che poi la mattina, al risveglio Leggi il resto dell’articolo

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Resti

Il diavolo telefonò alle tre e diciassette del mattino,

ma non avevo niente da dirgli,

così riattaccai.

Fuori pioveva, come da contratto.

Travestita di buio, nella camera da letto,

la mia ragazza urla “NO!”, nel sonno.

È spaventata, ma non si sveglia.

Fuori pioveva, come da contratto.

E nessun nano canterino a tenderci la mano,

né principi esiliati a farci compagnia.

Nessuno sguattero di stato, scrivani abbronzati, casalinghe appagate, risparmiatori fidelizzati,

nessun cerchio tracciato nella polvere, amorevolmente costruito intorno a noi,

a proteggerci dal terrore di una scelta previdenziale fatta male.

Niente batteri nascosti nel cesso, né merendine tumorali energizzanti in offerta.

Nessuna frana e nessun collasso sistemico dell’economia mondiale.

Niente terremoti, niente emergenze, niente collette para statali a fin di male.

Niente scuola, niente informazione, niente lavoro. Niente soldi.

Niente musica.

Niente sigarette.

Niente vino.

Niente sorrisi felici macchiati di fluoro.

A parte tutto:

niente.

Fuori pioveva, come da contratto.

Così niente,

a parte la merda di cane sui marciapiedi,

le scuse da inventarsi,

le ascelle da lavare,

i peperoni muffiti da buttare,

le cicche da riutilizzare,

le parole da cercare,

il cesso da lavare,

il lavoro da cambiare,

i conti da pagare,

il gas da respirare,

la fortuna da grattare,

il pusher da chiamare,

la macchina da aggiustare,

e una intera vita da spiegare.

Il diavolo telefonò alle tre e diciassette del mattino,

ma non avevo niente da dirgli,

così riattaccai.

Ma adesso,

dopo un paio di litri di caffè arabico,

pochi grammi d’erba ben dosata,

e qualche boccia di nero d’ Avola a temperatura ambiente,

adesso spero che il diavolo richiami.

E quando lo farà dirò semplicemente:

hai preso tu il mio accendino?

Perché è questo quello che resta alla mia generazione.

Gianni Cusumano

Trauma cronico – Noi chi?

Proprio perché tu sei esistita, ora non esisti,

proprio perché fosti cosciente, sei incosciente.

E solo perché sei cattolica, non puoi pensare

che il tuo male è tutto male: colpa di ogni male.

Sprofonda in questo tuo bel mare, libera il mondo.

 Pier Paolo Pasolini


C’è una buona nuova per il nostro futuro, di quelle da poter stare sereni: Walter Veltroni torna alla vita politica del PD.

Quando la scorsa settimana ho saputo di questa notizia mi sono sentito risollevato, finalmente ottimista, pur non negando di essere un po’ preoccupato e dispiaciuto per i bambini africani, quelli che conservano ancora quel pezzo lasciato lì, che aspettano oramai da oltre sei anni il nostro Walter nazionale, politico, nonché autore del libro NOI.

Di certo avrebbe avuto un gran da fare, l’ex sindaco di Roma, nel continente nero (paraponziponzipò?), avrebbe potuto chessò, come Rimbaud dedicarsi al contrabbando d’armi, oppure investire in scuole ed ospedali, ma no, meglio l’appartamento a New York; l’ex lider del PD è uno che guarda avanti, al futuro.

Però mi chiedo: ma quando parla di noi, di chi parla, il nostro buon Veltroni? E noi che paghiamo 400 euro per una stanza a Roma con estranei, noi che ne guadagniamo 700, noi che non è che viviamo, noi che resistiamo, senza nemmeno la certezza che quei soldi, quel lavoro, ci saranno anche il prossimo mese. E noi?

Noi che una volta almeno c’era il Partito Comunista, noi che abbiamo trovato soltanto piccole rifondazioni suicide. Noi che oggi, sebbene avessimo buone ragioni per votare quel che resta dei Comunisti, o Sinistra e Libertà, o PD, o addirittura Di Pietro, abbiamo ottime ragioni per non votare nessuno di questi, per non votare. Noi, senza futuro, che ce lo siamo presi nel culo.

Noi che un figlio come lo manteniamo, noi che una casa come la compriamo. Noi che ci è toccato Berlusconi, noi che se ci è toccato Berlusconi è anche e soprattutto per colpa di quell’altra parte.

Noi che sappiamo che i D’Alema, i Bersani, i Veltroni, sono come Berlusconi; sono stati loro a consegnare questa misera Italia nelle mani del Cavaliere e dei suoi accoliti. Noi che siamo incazzati.

Veltroni sì che tornerà di moda, Veltroni piace a tutti, addirittura più di Rutelli, che geloso s’è creato la sua alleanza nuova di zecca, strizzando l’occhietto a Casini, e sotto sotto al Cavaliere. La politica in Italia, è un tristo funerale che dura da vent’anni…

Ma non tutti i maiali vengono per cuocere, come dice il proverbio. Per i figli dei maiali, per non farli crescere maleducati, per l’educazione dei figli c’è Rai Educational, disponibile per coloro che hanno acquistato un nuovo televisore oppure il tanto pubblicizzato decoder, ovvero la tassa sulle televisioni; che vita sarebbe senza decoder?

E per i figli di nessuno, i figli dei comunisti ad esempio, nel caso non venissero mangiati rimarrebbero dei veri scostumati, mentre i figli degli internauti saranno educati come grillini al grido di “Vaffanculo”… ah la civiltà italiana, la cultura italiana!

Il futuro è finalmente roseo, anzi no, azzurreo, come quello che trasmette la mia televisione dall’avvento del digitale terrestre, che poi, ad esser sincero, quell’azzurro è molto più interessante della maggior parte dei programmi che trasmettevano prima. Bella così, è la televisione, azzurra, trascorrerei ore lì davanti, ma purtroppo o per fortuna ho sempre cose ben più interessanti o divertenti da fare.

Gianluca Liguori

Trilogia sull’operaio – Misericordia

L’ambiente, intorno a me, era illuminato appena. Questo faceva sembrare tutto un poco più cupo e misterioso.

Il mio lavoro era semplice.

Si trattava di sgomberare l’intero sotterraneo di un palazzo.

I sei livelli sopra di me erano uffici di una banca.

Per decenni quel sotterraneo era rimasto in disuso, utilizzato solo come magazzino per qualche vecchio mobile, materiale di scarto derivato dalla costruzione dell’edificio stesso e ciarpame vario.

Ma con l’arrivo di un nuovo direttore, si era deciso ad un ampliamento di organico e alla conseguente ristrutturazione di quel gigantesco ambiente da adibire a nuovi uffici.

Queste cose me le aveva spiegate Ennio.

Ennio era il capo.

Un uomo di mezza età che aveva chiamato una decina di disperati per quel lavoro faticoso e mal retribuito.

Stette a guardarci per un paio d’ore.

Quando fu sicuro di aver trovato gli uomini giusti si assentò, ritornando poi a sprazzi per impartire qualche ordine ad ognuno.

Era abbastanza grasso ed unto per fare schifo.

Anche se in realtà non conosceva nessuno di noi si permetteva di mandarci a fanculo e fare battute di bassa lega.

La fede d’oro, che portava sull’anulare sinistro, dimostrava che era sposato ed ipotizzava che quell’uomo fosse stato in grado di riprodursi.

Il sotterraneo era un luogo malsano.

Non c’era pavimentazione ma uno strato spesso di polvere rossastra. Materiale di scarto edile, appunto. Una polvere fine che si sollevava ad ogni passo.

Avevo già fatto lavori del genere in momenti come quello. Cioè quando ero a corto di soldi.

Proprio per via della mia esperienza, avevo pensato bene di portare con me una maschera antigas che avevo avuto in dotazione da un capo molto più affabile di Ennio, una volta che avevo fatto un lavoro simile.

La mia maschera antigas era un attrezzo di gomma e plastica con due filtri sulla parte anteriore che depuravano l’aria che respiravo fermando i vapori e le polveri nocive e dando alla respirazione il rumore sibilante di un soffio costante. Sulle mani avevo dei guanti pesanti di cuoio ma il resto del mio corpo non era protetto e alla pelle tesa e sudata delle mie braccia, si attaccava sporcizia volatile dal colore scuro.

Un paio di altri operai italiani avevano portato con loro delle maschere. Un altro aveva legato un fazzoletto alla la faccia illudendosi così di salvarsi l’apparato respiratorio.

Gli altri operai, probabilmente romeni, non usavano nessuna protezione. Respiravano, lavoravano e sputavano catarro nero di tanto in tanto.

Caricavamo su un camion quello che portavamo fuori. Il tutto poi, sarebbe andato a finire in discarica.

Ero nel lato più buio del locale.

Seguivo con lo sguardo lo svilupparsi sempre più oscuro del luogo dove mi trovavo. Per capire dove mettere i piedi.

Vidi a terra qualcosa.

Due gambette scheletrite e piegate.

L’impressione fu immediata. Un feto.

Mi avvicinai per constatare quella che poteva essere la scoperta più macabra della mia vita.

Era un gatto morto.

Non so dirlo con certezza, naturalmente, ma credo che fosse rimasto lì da più di un decennio.

I vermi avevano terminato il loro lavoro da tempo.

Ciocche di pelo grigie erano rimaste alternate sul corpo che per la maggiore era coperto da una patina bianca abbastanza spessa, forse muffa.

Il pelo era rimasto quasi per intero sulla testa.

Mi colpì come quel muso avesse ancora, nonostante tutto, l’espressione tipica del gatto.

Sembrava, a vederlo, che fosse morto serenamente.

In piccole parti, sul collo, era sopravvissuta una pelle dall’apparenza indurita. Una cotenna di muscoli fibrosi.

Finii il mio lavoro in quel punto, in compagnia di quel micio che mi guardava senza occhi.

Forse non era il caso di lasciarlo lì.

Forse avrei dovuto seppellirlo.

E perché non metterlo in un sacco e buttarlo semplicemente?

Il feto che avevo creduto di vedere. Quello si avrebbe meritato una sepoltura.

Mettersi a scavare per un gatto vissuto chissà quanti anni prima.

Valeva la pena?

Avevo sentito dire che non c’è anima negli animali.

Erano in tanti a sostenerlo. Lo dicevano anche i preti.

Alla luce di ciò quel gatto era degno di andare a finire nella mondezza, insieme al resto.

Era però da un bel po’ di tempo che non credevo più ai preti.

E mi solleticava maggiormente l’idea misericordiosa di porre un semplice rispetto per quel che non era più. Senza distinzione di specie.

Lo lasciai lì.

Avevo ancora molto da fare ed il sudore mi accecava gli occhi.

Passarono le ore e continuai il mio operato, impegnando ancora la testa in ragionamenti che sarebbe meglio lasciar tacere.

Non era facile infilarsi nelle maglie delle domande e dei dubbi e contemporaneamente far bene il proprio lavoro.

Ma vi riuscii.

Tutto il sotterraneo era sgombro.

A terra, rimanevano solo piccoli frammenti di vetro, plastica ed altro.

Ennio era soddisfatto.

Gli chiesi :” E adesso? Come andranno avanti i lavori?”

Mi rispose secco:”Domani arrivano con un paio di bobcat che appiattiranno il suolo, in modo da inglobare in esso quei pezzetti che noi abbiamo lasciato. Poi ci sarà la gettata di cemento che coprirà tutto!”

Dopo le parole di Ennio mi rimisi la maschera, presi una pala e rientrai nel sotterraneo.

Ne riuscii poco dopo con adagiati sul palmo di quella vanga, i resti di un gatto morto.

Poi presi a scavare in un’aiuola.

Era tardi e gli uffici erano chiusi ormai.

Nessuno mi avrebbe visto e avrebbe avuto a protestare su quello che stavo facendo.

Depositai il gatto sul fondo della buca e ricoprii il tutto.

Ennio ed uno dei romeni, mi osservavano parlando e ridacchiando.

Poi presi i soldi che mi spettavano e me ne andai.

Luca Piccolino