La banda dello stivale, ovvero la Seconda Unità d’Italia – 22


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E loro correvano, eccome se correvano i nostri disperati scrittorucoli, che da baldanzosi che erano dovettero farsi piccoli piccoli per passare indenni attraverso le strette maglie della legge. Ché poi si fa presto a dire correre, ché la guida del loro timoniere non era propriamente sportiva, ma lo stesso essi riuscirono a superare l’appennino tosco-emiliano e a sbucare nella verde Umbria, dove li attendeva un altro rifugio degno di nota.

Il luogo in questione, un’ex casa colonica contesa dalla giunta comunale – che dopo averla data in gestione a un noto scrittore, autore di una famosa rivista satirica1 che scandalizza ancor oggi certuni per i suoi contenuti, stava cercando un modo per riprendersela – apparve ai loro occhi come un paese dei balocchi, abitato da cani e gatti che sbucavano da casupole di legno dalle strane forme e disseminate tra i bassi arbusti di un boschetto. Si trattava di una vera e propria repubblica indipendente, con tanto di passaporto onorario, che accoglieva i rifugiati di ogni tipo; un minuscolo stato difeso soltanto dalla forza delle idee che non sono costrette a ricorrere alle armi.

Sarà stato per via della stanchezza o per l’altitudine o perché ormai si apprestava la fine di settembre, ma per la prima volta i cinque attentatori alla libertà di parola sentirono anche i brividi del freddo, come un oscuro presagio che inquinava il loro prossimo futuro.

Insieme al capelluto e canuto intellettuale, che li accolse avvolto dal calore di una zuppa di legumi che già bolliva sul fuoco, essi discussero sui risvolti della loro rivoluzione impossibile, che si era dipanata, secondo percorsi piuttosto accidentati, dalla fine degli anni sessanta fino ai loro giorni. Il rischio, come sempre in questi casi, fu quello di gettare tante belle parole al vento, per quanto i nostri fossero circondati dalle prove inequivocabili dei tanti tentativi fatti negli anni precedenti al loro apprendistato, quando si chiedeva a gran voce la fantasia al potere.

Si narra che essi improvvisarono un ristretto simposio, che niente ebbe a che vedere con il luogo romano in cui usavano recitar tra i peggiori baccanali: un concilio in cui esposero le loro idee al rispettato intellettuale, che come un padre comprensivo li ascoltò per tutta la serata, ma a niente valse tutto quel loro filosofare, poiché sul più bello si udirono nuovamente le tanto odiate sirene, che squarciarono il silenzio governato dai gufi e dai lupi.

Il gruppo, ingrossato da qualche giovane adepto, decise di rispondere alla forza con la forza, anche perché l’unica via di fuga sarebbe stata quella verso la capitale, dove sarebbero senz’altro finiti dritto in bocca al nemico.

Il piccolo esercito, munito di pigne e cerbottane, si appostò dietro gli arbusti, e mandò in avanscoperta la ciurma dei cani e dei gatti, che con il loro abbaiare e miagolare avrebbero cercato di tenere a distanza gli sgraditi invasori. Essi non avevano però previsto che insieme alle forze dell’ordine sarebbero arrivati in pompa magna anche politici e giornalisti, in numero così elevato da rischiare seriamente un sovraffollamento del minuscolo staterello libero delle arti.

Gli assediati furono costretti a sorbirsi diversi minuti di retorica statalista pronunciata col megafono, ma per quanto quella di Frigolandia fosse una repubblica informale, il clima era lo stesso molto teso, come se davvero si trattasse di un’invasione territoriale da parte di uno stato belligerante. Inizialmente venne sparato qualche colpo a salve, seguito da una raffica di minacce, quindi, visto il fallimento di questa strategia all’acqua di rose, gli uomini in divisa optarono per il lancio di lacrimogeni.

Nonostante le tante operazioni antisommossa, essi non avevano però mai assistito a quanto accadde in quel momento davanti ai loro occhi: i cani e i gatti repubblichini si misero a correre come ossessi per il boschetto, dove raccoglievano velocemente da terra quelle armi chimiche per interrarle con le loro zampette. La scena aveva del surreale, e difatti prese alla sprovvista l’armata del Presidente, che si fece sorprendere dal contrattacco: una gragnola di pigne cadde sui loro caschi da combattimento, componendo una sinfonia di rintocchi che si levò per tutti i colli circostanti.

La battaglia finale era cominciata.

Simone Ghelli

1 Essa si chiama Frigidaire, e da circa trent’anni si distingue per la sua irriverenza nei confronti della politica del nostro beneamato paese.

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Diario di bordo – Bologna

A Firenze Vanni ci accompagna a mangiare un panino e lampredotto, poi si riparte per un’ultima vasca lungo l’Arno, tante volte i piedi rischiassero d’andare fuori allenamento.

A Bologna il posto auto con le strisce bianche non esiste o siamo noi che non lo troviamo, tant’è che regaliamo 8 euro al comune e tanti saluti a tutti. Almeno stavolta siamo vicini al locale, che si chiama Zammù e ha un bel mobilio lilla e giallo. Siamo stanchi morti, anche perché siamo finiti a Piazza Maggiore per attaccarci a una wireless e postare il diario di viaggio. Al ritorno conosciamo Chiara Arnone, che scrive su SuccoAcido, e Barbara Gozzi di PrecarieMenti, venuta apposta dalla provincia. Il reading va bene, anche se non c’è il microfono e nella stanza accanto la gente chiacchiera. Finiamo a mangiare una mega pizza da Totò, dove ci porta Matteo, altro ex Elton Junk come il sottoscritto, che ci toglie le pezze dal culo lasciandoci casa libera. Finalmente ci si può lavare e andare a letto come bambini felici…

Simone Ghelli

Dopo aver ricominciato la stagione alla grande con la maratona della scorsa settimana a Roma, dopo aver conquistato Napoli e Firenze, oggi ci siamo presi anche Bologna. La risposta del pubblico è stata positiva, c’era un po’ di preoccupazione generale e diffusa riguardo a questa data felsinea, ma nonostante il vociare della sala accanto e i rumori provenienti da fuori la finestra, la serata si è svolta magnificamente. Ho rivisto con piacere, oggi, Simone Rossi, che ha suonato per noi. Sono stato immensamente contento di rivederlo anche se si è potuto parlar poco, purtroppo, ma ci rincontreremo dopodomani a Meldola, alla Casa del Cuculo, per la penultima data del tour. Simone avrebbe dovuto essere in giro con noi, poi per una serie di motivi che non starò qui a spiegare, non è partito più con noi. Venerdì si starà un po’ insieme, ma prima ci sarà Milano.

A Milano ci aspetta Alex, l’ho sentito molto carico. Intanto qui è ritornato il Ghelli, pulito e profumato, litiga con Piccolino, si contendono una sedia, non ce la si fa più, troppi giorni insieme, quante cose che non si possono raccontare, tra risate e santi e madonne che piovono giù, il Ghelli si lamenta, mi interrompe, non si riesce ad andare avanti di una frase che le risate a crepapelle ci piegano in due. Sembriamo quasi ragazzini in gita ed è bello così.

L’avventura continua. La stanchezza è pesante, ieri solo quattro ore di sonno, svegliati da una trivella che spaccava pietre, poi il viaggio, la ricerca di un accesso alla rete, il reading. Bravi i nostri ospiti, Matteo Bortolotti e Carlo Palizzi, che ha letto Decimo che non si è presentato. Noi eravamo provati, ma abbiamo retto alla grande.

Adesso ci tocca riposare, che domattina la sveglia suona e si torna di nuovo sulla strada.

Gianluca Liguori


Tre ore  di sonno ci pesano sul groppone. Non siamo più gli elastici individui di un tempo, inutile mentire.

Firenze ci saluta con un panino al lampredotto e gli abbracci di Vanni Santoni.

Bologna.

Ordinata. Pulita.

Zona ztl e parcheggio a pagamento da due Euro all’ora. Alcuni amici bolognesi mi confermano che la città è parecchio cambiata. Il sindaco-sceriffo Cofferati ci ha messo del suo.

Allora mi viene da pensare a Roma. Penso a Rutelli, Veltroni e Alemanno. E penso che al peggio non c’è mai fine in questo paese.

Arriviamo alla libro-vineria Zammù. Notiamo come non ci sia neanche uno straccio di locandina innanzi al locale. Non c’è microfono.

Decidiamo dunque di svolgere le nostre letture nella più piccola delle due stanze, dove forse le nostre voci arriveranno meglio.

Rilasciamo un’intervista a Chiara Arnone di SuccoAcido chiedendo scusa per le nostre condizioni e le nostre facce.

Si inizia.

Con noi ci sono Matteo Bortolotti e Carlo Palizzi, Simone Olla. Simone Rossi con la sua chitarra acustica ci accompagna a volume regolato, vista la mancanza di microfono.

Bisogna tirare fuori il cuore. Il nostro assonnato e stanco cuore.

Così di fronte a un buon pubblico venuto per noi, sputiamo quel che ci resta in corpo.

Il risultato è qualcosa di atipico per noi,  qualcosa di buono. Non il nostro meglio ma neanche malaccio. Ci può stare.

Matteo, un amico del Ghelli, si offre di ospitarci, prima però si va in via del Pratello a mangiare.

Finalmente una doccia mi lava via dalla pelle la puzza di cane avariata e cicca spenta. Otto ore di sonno non ce le toglierà nessuno.

Domani a Milano rinconteremo Pietrogiacomi e così saremo di nuovo tutti e cinque…

Luca Piccolino

Al mattino si va io ed il Ghelli a comprare le paste ed i caffè. Il barista mi dice cose strane ed io non capisco nulla. Poi il Vanni Santoni ci porta a mangiare della carne bollita in un panino. Robba buona che mi ricorda il muso di porco. Ma pare sia scroto di vacca o budello di vitello o bufalotto, boh. Comunque andiamo a stomaco pieno verso Bologna. Arriviamo, forse. Ci pare di essere in una città tipo Bologna. Il tomtom come al solito dice le frasi a cazzo e ci manda in un luogo umido. Capiamo essere l’Arno quando le ginocchia iniziano a bagnarsi. E siamo in auto cristo! Il sonno è poco, cioè è tanto, sono le ore di sonno dormite che sono poche. Fatto è che si cammina come disperati verso un internet point. Chiedo informazioni a due studenti e nessuno sa dirmi dove sia un internet point. Poi andiamo avanti di dieci passi e ci troviamo da un indiano che ha un internet point ed allora penso che gli studenti si devono fare meno canne mentre camminano sotto i portici e cofferati ha ragione. Stremati ma vogliosi di leggere si arriva allo Zammù dove Chiara ci vuol conoscere ma intanto scopriamo essere senza microfono e con la voce mia che è andata a puttane. Ma è andata da paura: Simon Red ci ha accompagnati con la sua chitarra mentre si leggeva e la gente nel caos da mercato ci ha seguiti e anche questa volta ha comprato un bel po’ di robba. Ora siamo a casa di un amico di Ghelli. Abbiamo in pratica occupato casa loro, mi sono docciato scrostandomi la ruggine dai testicoli e sono pronto per il materasso. Lui è rosso, bello, sporco al punto giusto, lo accarezzo, lo bacio e la passione cresce. Domattina sgraverà tre cuscini. Li chiamerò Atos, Portos e Mariastella. Ora vado a dormire che sono stanco. Ho voglia di mangiarmi una banana, ne addento una ma sa di mela cotogna. Ottima. Ora vado a dormire che sono stanco e potrei iniziare a ripetermi dicendo sempre le stesse cose in automatismo. Ho voglia di mangiarmi una banana, ne addento una ma sa di mela cotogna. Ottima. Ora vado a dormire che sono stanco, però il bello è che io devo ringraziare chi mi ha ridato la passione per le mie passioni, altrimenti queste risate e questa stanchezza non le avrei mai vissute. E allora le mando un sms e la ringrazio… ma vabbè, queste son cose mie 🙂

Andrea Coffami