L’arte del Piano B

L’arte del piano B (Piano B Edizioni, 2011)

di Gianfranco Franchi

Che cos’è questo nuovo libro di Gianfranco Franchi? Un manuale di sopravvivenza in tempi di crisi (o meglio: “un libro strategico”, come leggiamo in copertina, per non ritrovarsi impreparati nel momento della crisi)? Oppure, non è piuttosto la cronistoria di una rivolta tutta interiore, di un’immaginazione che evoca delle alternative (il famoso piano B) con l’intento provocatorio di sbattercele in faccia? Come dire: un po’ ce la siamo andata a cercare se oggi ci ritroviamo infognati. Certo, il libro ci dice anche che non è stato per tutti così: qualcuno che ha avuto la pazienza e la tenacia di lavorare nell’ombra c’è stato (e sempre ci sarà); qualcuno che all’improvviso ci fregherà a tutti quanti, lasciandoci di stucco (magari proprio quel qualcuno che non sospettiamo minimamente capace di tanta dedizione). Questo ipotetico qualcuno è la sorgente della voce narrante, che ci elenca punto per punto (e con dovizia di particolari) le strategie messe in campo da chi voglia allestire un piano B. Questa voce a tratti fastidiosa, che smaschera i nostri vizi e le nostre debolezze, rappresenta una mano tesa pronta a tirarci fuori dalle sabbie mobili in cui stiamo sprofondando. In cambio, Gianfranco Franchi chiede al suo lettore la medesima dedizione e forza di volontà…

Simone Ghelli

Riportiamo in anteprima un breve estratto dell’opera, da domani in tutte le librerie.

Pizzicherai, nel corso degli anni, tutta una serie di soggetti velleitari, diciamo dei “Wanna Be Piano B”. Li riconoscerai non soltanto dall’estetica (tendenzialmente è pretenziosa, capricciosa e ricercata: va sublimando le loro lacune, le loro aporie), ma da una caratteristica indiscutibile e facilmente evidente. L’estraneità completa a qualsiasi professionalità. Un Wanna Be Piano B è uno che ti accoglie nel suo studio, tutto affettato. Magari ti prepara addirittura un caffè, non chiede scusa per il disordine –preferisce piuttosto vantarsi del disordine: fa molto artista – e ti mostra al suo pc (se è proprio grossier, al suo macintosh) una serie di fotine e di filmati relativi a uno o due dei suoi Piano B meglio riusciti. Ora, ci sta che a certa gente sia venuto bene un Piano B nonostante la nulla documentazione, la fiacca progettazione, l’inesistente professionalità. È successo qualche anno fa. Si chiama culo. Il discorso è che questa gente vuole venderti il culo, avuto una volta o due, come professionalità. E no, cicci. Mica è sempre domenica. Leggi il resto dell’articolo

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Solo 5 minuti

di Maura Chiulli

Un viaggio insieme: avevamo deciso di starcene sole, io e lei, a godere di noi. Arrivammo ai Castelli romani, lì dove avevo lasciato a giacere un mio pezzo di vita vecchio. Avevo a mente odori e vicoli e dopo anni, ogni cosa era rimasta al suo posto. Dalla finestra della nostra stanza appoggiavamo lo sguardo su Roma assolata e munifica. Decisi di farle percorrere col dito le strade che avevo consumato. Elisa ascoltava, tenendomi stretta a sé. Avevo quarant’anni, credevo di aver esaurito pallottole e possibilità. Lei arrivò come un lampo e vederla la prima volta quasi mi uccise. Una specie di energia mi percorse la schiena e dopo un anno, continuavo a nutrirmi della stessa elettricità. Amarla era facile. Amarla mi purificava. Amarla mi sottraeva al veleno dei miei ricordi. Vivevo un eterno presente da quando l’avevo guardata, quel giorno in spiaggia. Aveva i capelli raccolti e un costume bianco. Mi girai verso di lei, avevo bisogno dei suoi occhi piccoli. Le sfilai gli occhiali scuri e la baciai, col carezzo intenso che vuole l’amore, quello che ti percorre e ti bagna, quello che non puoi trattenere il desiderio. I suoi ansiti brevi ci unirono in una scopata monumentale: io ed Elena sapevamo unirci in un incastro perfetto. A quarant’anni avevo imparato l’amore, quando tutto mi pareva essersi scolorito nelle brume dense della coscienza, quando non sapevo più di che cosa erano fatti i sogni. Era arrivata per salvarmi, per indicarmi una decorosa possibilità. Le leccai il fiore e sentii il suo seme. Le percorsi i seni e la attraversai. Ci sentimmo, come ogni volta, un unico corpo liquido. Leggi il resto dell’articolo

Lavorare, passeggiare, raccontare

Con la manifestazione del 9 aprile, che ha segnato un primo tentativo di unire in uno stesso corteo lavoratori (e non) accomunati dall’orizzonte della precarietà (anche se provenienti da contesti diversi),  è stata scattata la fotografia ancora parziale di una famiglia allargata, trasversale alle classi sociali e alle generazioni. Farsi vedere e raccontarsi, superare il senso di vergogna (magari per la differenza tra le aspettative e la realtà) e la paura del ricatto (sul luogo di lavoro), in una parola manifestarsi, rimane assolutamente necessario. Non basta infatti farlo una sola volta, ma deve essere pratica quotidiana e (possibilmente) condivisa. È questo il senso degli Stati Generali della Precarietà 3.0: tre giorni d’incontri che si terranno a Roma nel segno della condivisione di strumenti e strategie, dove «parlare dei nostri desideri, della libertà che vogliamo riprenderci, della forza che vogliamo far esplodere».

Simone Ghelli

Quello che segue è il programma dettagliato delle tre giornate:

Venerdi 15, @ LOA Acrobax [via della vasca navale,6]
dalle ore 19 accoglienza e concerto di Asian Dub Foundation

Sabato 16, @ GENERAZIONE_P RENDEZ-VOUS [via alberto da giussano, 59]:

dalle 21.00: serata di festeggiamento dei primi 6 mesi di occupazione di Generazione P – rendez vous
cena
+ proiezione della videoinchiesta sulla precarietà “Inpreca video”
+
proiezione del docufilmLampedusa next stopa cura di Insutv (presenti gli autori)
a seguire dj set

Domenica 17, @ Volturno [via Volturno, 37]: