Le 13 cose – anteprima

[Qui di seguito un’anteprima dal romanzo Le 13 cose (Neo edizioni), di Alessandro Turati, dai primi di marzo nelle librerie]

Ho ricevuto una lettera dall’Uganda. Una bambina di dieci anni mi ringrazia per il sostegno a distanza. Grazie a me, dice, può andare a scuola. Grazie a me, mi sembra di capire, ha imparato a leggere e scrivere. Mi dice e mi fa capire queste cose in inglese. Potrei essere contento, ma so che sarebbe eccessivo: ieri sera ho speso più soldi per ubriacarmi di quanti ne verso in tre mesi per la sua istruzione. Potrei farglielo sapere, potrei dirglielo. Magari in inglese.
Io parlo un po’ inglese perché nel 1994 alle Cinque Terre ho conosciuto due inglesi in un bar. Abbiamo parlato di Londra e del Principe Carlo. Alla fine, così per ridere, mi hanno offerto un intruglio nel quale c’era anche della birra e della schiuma violacea: loro sono sbarellati e si son messi a suonare la chitarra; io mi sono coricato in un angolo credendo di essere un Tuareg. Leggi il resto dell’articolo

Pubblicità

Peggio dei documentari con gli sciacalli che sbranano i cerbiatti *

all in all is all we are
all in all is all we all are
all in all is all we are
all alone is all we all are

Intervistare questo soggetto è come lanciare una palla a un cane e il cane invece di scodinzolare e correre a prenderla rimane lì piantato e ti guarda un po’ imbambolato come a dire Vattela a prendere tu la tua palla che io ho da fare, anche se non ha niente da fare, il cane, forse è solo stanco, forse è solo una brutta giornata, forse i cani sono pieni di brutte giornate, forse la tua palla non la vuole nessuno.
La moda delle chitarre anni ’80 è finita, dice il cane, quel modo di suonare non ha più senso, era ora che qualcuno inventasse dei nuovi effetti, dei nuovi suoni, un nuovo modo di trattare gli amplificatori: bisogna tornare all’udito come istinto primordiale, alla foresta in cui ti aggiri e ti perdi, cacciatore, e senti spezzarsi un ramo alla tua sinistra e ti volti di scatto e il cuore ti finisce in bocca e a quel punto ti ricordi a cosa serve l’udito: l’udito serve a orientarsi, a sapere dove sono i pericoli, è per questo che nelle orecchie c’è il labirinto, è per questo che certe chitarre sono un suono bugiardo, le senti e non sai da dove vengono, o dove ti stanno portando, ti perdi, ti farai sbranare, cacciatore, occhio.
Spalmato sul divano con un cartone di pizza appoggiato sulla pancia, anzi, sul petto, vicino alla bocca, per non sporcarsi, per non allungarsi troppo, il cane continua a parlare. Le prime volte che prendevo una chitarra in mano Leggi il resto dell’articolo

Nel bicchiere di cartone

A Berlino se ti siedi per terra nella piazza di Berlino con addosso una chitarra e davanti un bicchiere di cartone a fine giornata nel bicchiere di cartone c’è qualcosa come cinquanta euro di spiccioli, dicono: si tratta solo di imparare a suonare la chitarra con i guanti tagliati in cima alle dita, fare venire fuori la voce attraverso la lana della sciarpa e sapere quel minimo di inglese per cantare in maniera plausibile. Tutto qua. Cinquanta euro al giorno. Con un giorno di pausa alla settimana, tutte le settimane, fanno milleduecento euro al mese. Facciamo mille. È uno stipendio.

A Berlino se porti le bottiglie di plastica usate nei supermercati di Berlino ci sono queste macchine smaltisci-rifiuti che per ogni bottiglia di plastica vuota ti danno venticinque centesimi, cioè con quattro bottiglie prese dall’immondizia ci compri un pacco di pasta da mezzo chilo e ci mangiamo due volte. A Berlino, nei cestini dell’immondizia delle strade di Berlino, non c’è una bottiglia di plastica che sia una: in ossequio a un patto silenzioso nessun berlinese porta le bottiglie di plastica nelle macchine smaltisci-rifiuti dei supermercati, tutti le buttano nei bidoni normali in giro per strada e poi di notte (ma anche di giorno) i barboni (ma anche gli universitari fuori sede) si litigano le bottiglie vuote e con quattro bottiglie di plastica prese dall’immondizia ci compri un cartone di Tavernello da un litro e ci bevi un pomeriggio. Cioè, non so se vendano il Tavernello a Berlino, ma insomma.

A Ferrara qualche settimana fa abbiamo suonato per strada un’ora e abbiamo fatto cinquanta euro, che diviso tre non è divisibile, ma più o meno. A un certo punto si è avvicinato un ragazzo con i capelli ricci e ci ha detto Avete mai pensato di abbinare la giocoleria alla musica? Io stavo per dirgli Come no, poi ci portiamo pure la scimmietta che suona i piatti e i cuccioli che bevono il latte dalla ciotola e i santini di padrepìo, e invece gli ho detto Boh, ogni tanto lo facciamo, cioè, la violinista sa suonare sui trampoli, è una cosa che fa sempre un certo effetto, ma è un po’ scomodo portarseli in giro, abbiamo anche un contrabbasso, vedi, è un po’ scomodo portarsi in giro il contrabbasso e i trampoli e stare in tre in una macchina con il contrabbasso e i trampoli. Allora il ragazzo riccio ha detto Io vivo a Berlino e faccio il giocoliere ai semafori. Niente di troppo complicato: tre palline, il naso rosso, un po’ di trucco, un bicchiere di cartone e a fine giornata nel bicchiere di cartone c’è qualcosa come cinquanta euro di spiccioli. È uno stipendio. Ci pago l’affitto, ha detto il ragazzo riccio, vivo a Berlino da un anno e mi mantengo facendo il giocoliere per strada, ciao ciao, buona suonata, poi è andato via.

A Berlino come a Ferrara come ovunque un musicista di strada può averci tranquillamente un repertorio piuttosto ristretto: bastano dieci canzoni di cui non stufarsi, casomai si stuferanno gli inquilini o gli impiegati del palazzo di fronte, ma sono poi problemi loro, la gente gira, il pubblico è sempre nuovo, dopo la prima secchiata d’acqua dagli impiegati del palazzo di fronte si tratta solo di asciugarsi con la sciarpa di lana e cambiare posto e nel tragitto vedere se ci sono delle bottiglie di plastica nei bidoni per metterne insieme quattro e comprarsi un pacco di maccheroni o un cartone di Tavernello.

Ora, io non è che mi fidi di ogni ragazzo riccio che incontro. Non sono nemmeno sicuro che un chitarrista di strada a Berlino faccia mille euro al mese (e poi il giocoliere al semaforo, maddai, i cuccioli che bevono il latte dalla ciotola e i santini di padrepìo, maddai). Però domenica scorsa eravamo in dieci a suonare nella piazza del mercato di Cesena e non vi dico quanti soldi abbiamo fatto, non è importante, non farò nemmeno l’elenco delle Dieci Regole Del Musicista Di Strada, non racconterò nemmeno le facce della gente che non ci poteva credere, una banda, dieci musicisti senza uno straccio di amplificatore che battono i piedi per scaldarseli, non dirò nemmeno che la stagione delle sagre autunnali e poi dei mercatini natalizi mi fa venire voglia di mettermi un paio di guanti tagliati alle dita e di vedere se Bertinoro è come Berlino, non lo dirò, ma mi sa che lo faccio.

Simone Rossi