Tornando a casa, o come divenni scrittore

di Simone Lisi

Faccio la strada per tornare a casa con Nati e Camille. L’allungo, la strada: loro vanno in Triana mentre io sarei già arrivato. Allungo la strada e le espadrillas, che a noi italiani suonano così spagnole ma che qui chiamano esparco, mi si impregnano d’acqua perché lavano le strade, la notte, a Siviglia, e le suole sono di corda, e quando arriverò a casa (perché a un certo punto si torna anche a casa) saranno dure e pesanti per tutta l’acqua assorbita semplicemente camminando, andando, tornando a casa.
Se allungo la strada non è tanto per la storia delle scarpe che diventano dure e pesanti perché si impregnano di acqua, questo non rende affatto la passeggiata piacevole, e non allungo la strada perché non ho voglia di tornare a casa (e che quindi un altro giorno è finito) e nemmeno per una questione di galanteria o perché voglio finire con una delle due o tutte e due insieme. Il fatto è dovuto piuttosto alle condizioni strutturali di questa ennesima vuelta, questo ennesimo ritorno a casa dopo una sera essenzialmente inutile, senza senso. Il fatto è che non siamo in tre, ma siamo in cinque. Con noi c’è un senegalese dal nome impronunciabile per noi europei, si fa chiamare Jimi e per questo lo chiameremo Jimi. L’abbiamo raccattato dalle parti di Alameda, anzi lui si è attaccato, aveva conosciuto Camille una notte precedente e se la voleva fojare. Perché Camille è bionda e francese e si sbronza e finisce a letto con uomini di cui poi non si ricorda. E giustamente Jimi vuole essere uno fra i tanti, o forse uno diverso dai tanti, per questa Camille bionda francese che si sbronza e Leggi il resto dell’articolo

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