La legalità? Attenti a quando scade! /1

Durante il soggiorno a Roma, Carneade tenne un giorno un magnifico discorso in lode della giustizia, dimostrando che essa è la base di tutta la vita civile. Ma un altro giorno tenne un altro discorso, anche più convincente del primo, dimostrando che la giustizia è diversa a seconda dei tempi e dei popoli ed è spesso in contrasto con la saggezza. E portava l’esempio del popolo romano che s’era impadronito di tutto il mondo. Se i Romani volessero essere giusti, egli dice, dovrebbero restituire agli altri i loro possessi e tornarsene a casa in miseria. Ma in tal caso sarebbero stolti.
E così giustizia e saggezza non vanno d’accordo.
N. Abbagnano e G. Fornero
 
 
 

Nel corso della storia le comunità umane si sono stabilite su determinati territori e si sono organizzate secondo certe regole, dipendenti dalle caratteristiche delle comunità stesse. Si va dai gruppi nomadi alle tribù dedite alla caccia e all’agricoltura e poi, con forme organizzative più marcate, vi è stata la città (la polis greca, la res publica romana, i comuni, i principati e lo Stato).

Lo Stato è un’istituzione, cioè un’organizzazione con un’esistenza propria che assorbe e unifica gli elementi che la compongono. È indipendente dagli individui che ne fanno parte e dai rapporti intercorrenti fra loro. Persegue interessi e finalità unitari, distinti dagli interessi individuali di ognuno dei componenti. Ha un ordinamento giuridico risultante da norme obbligatorie per i soggetti che gli appartengono, per cui la comunità è tenuta a porre in essere comportamenti conformi alla legge, quindi, legali. Ma cos’è la legalità? Leggi il resto dell’articolo

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Face to Face! – Flavio Caprera

Flavio Caprera è tornato con un nuovo libro sul jazz, sempre per Mondadori e dopo il suo Jazz Music ci regala Jazz 101 con cui cominciare, continuare, approfondire la musica di Dio.

Quattro chiacchiere veloci e sincopate.

101 dischi jazz. E come hai fatto a raccogliere questa carica dei 101?

Ho fatto un’analisi musicale, storica e sociale che mi ha portato alle origini del jazz, alle composizioni di Scott Joplin, a Freddie Keppard, a King Oliver, a Louis Armstrong, ecc. Era fondamentale partire dai capisaldi, dai costruttori di un genere musicale meraviglioso. Sono loro le basi e bisognava non sbagliare avendo a disposizione solo 101 dischi. Poi il resto è venuto da solo, direi fino agli anni sessanta. A quel punto è stata dura fare una sintesi tra i generi di jazz e i gusti personali. Ho cercato di mantenere un atteggiamento obiettivo e avere come riferimento i giudizi dei critici più importanti. Questo mi ha permesso d’arrivare con serenità ai giorni nostri. Chiaramente qualche musicista è rimasto fuori ma questo fa parte del gioco dei 101.

Pensi di aver davvero preso il meglio?

Credo di aver preso i fondamentali, gli indiscutibili anche se ognuno poi ha le sue preferenze. Ma essendo un libro dal taglio divulgativo, che avvia alla conoscenza del jazz, penso che vadano bene così.

È il tuo secondo libro. Come è stato mettersi di nuovo alla prova con la tua grande passione? Hai scoperto qualcosa di nuovo di te e del jazz?

E’ stato molto stimolante scrivere un altro libro di jazz. Ho rinnovato la mia passione. Chiaramente ho scoperto nuovi musicisti, suoni su cui non mi ero soffermato, imparato ad amare dischi che prima snobbavo.

C’è stata un’evoluzione nel pubblico del jazz in questi anni? E pensi che raccolte e inserti in grandi settimanali possa davvero aiutare?

In Italia sono cresciuti gli appassionati di jazz. C’è una fascia di pubblico molto più ampia che ha fame di sapere, di conoscere in maniera più profonda questo genere. Soprattutto che frequenta i festival. Credo che gli inserti servano nella loro facilità comunicativa, ad avvicinare quanta più gente possibile al jazz.

Il jazz deve essere sdoganato?

Come tante altre cose in Italia, il jazz ha bisogno di un “linguaggio popolare”, fuori dai paroloni, dai tecnicismi e dalle “tribù” che si contendono il sapere per pochi. Dopo tutto la natura del jazz è popolare e lì deve tornare o perlomeno tenerci i piedi ben saldi.

Qual è il tuo groove preferito?

Sopra tutti Lover Man suonato da Charlie Parker.

Se dovessi iniziare qualcuno al jazz con chi partiresti?

Forse partirei con il primo Louis Armstrong e dopo con i lavori iniziali di Duke Ellington. Lì c’è il passato, il presente e il futuro del jazz.

Il jazz è criptico emozionale o chiaro concettuale?

A seconda dei generi all’interno del jazz è uno e l’altro.

Sei dell’opinione del tuo collega Marsalis, che il jazz può cambiarci la vita? Se sì come?

Credo di si, soprattutto a livello emotivo e psicofisico. Ti aiuta a vedere la vita in un altro modo.

Senti questa musica come un’esplosione o un’implosione?

E’ un esplosione che ti colpisce allo stomaco e poi ti arriva alla mente.

Non trovi che alcuni jazzisti si facciano un po’ troppe “pippe” mentali?

Mmm, si, ma questo è connaturato in una certa concezione che si ha dell’arte nella cultura occidentale, soprattutto tra noi latini.

Il jazz per te in una frase.

E’ un mondo che non si finisce mai di esplorare.

101 Jazz

Autore: Flavio Caprera

Mondadori- pp.gg. 304- euro 10.00- 2009

Alex Pietrogiacomi