La banda dello stivale, ovvero la Seconda Unità d’Italia – 23

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Per quanto gli animali si dannassero nel rifornire con celerità i loro compagni, fu chiaro fin dall’inizio che quel diversivo avrebbe avuto vita breve. Le forze dell’ordine esibirono in fatti il loro corredo di scudi in plexiglas, col quale ripararono anche i politici e i giornalisti, che da dietro quel bel paravento tuonarono altre minacce condite con frasi di convenienza.

In un momento di pausa – ché d’altronde gli artisti, tra alcool e fumo, di fiato ne tenevano ben poco – dallo schieramento uscirono un paio di ardimentosi volontari, imbottiti di tutto punto e muniti di tenaglie, con le quali si apprestarono a rompere i catenacci che tenevano chiuso il colorato cancello della Repubblica indipendente.

Il nemico avanzava, spronato anche dalle parole del Presidente, che dal megafono lanciava la promessa di detassare gli straordinari per incentivare l’iniziativa dei suoi soldati. Più l’azione si faceva serrata e più le sparate aumentavano di calibro: si parlò di abbattere l’ici sulle seconde case di tutti i familiari di primo e secondo grado appartenenti all’arma, mentre ai giornalisti, per tenerseli buoni, venne fatta solenne promessa di ristabilire la libertà d’informazione. Addirittura, pare venne persino ventilata l’ipotesi di sconfiggere alcune tra le più gravi malattie che da decenni flagellano il corpo umano.

Insomma, tutti, dagli operai agl’imprenditori, si strinsero intorno al proprio governo nella caccia agli spietati parolieri, che non possedevano la necessaria e cieca fede per risollevare le sorti del mondo. Grazie alla magia del montaggio e all’arte dell’inquadratura, le televisioni seppero poi fare il resto: quella trasmessa in diretta sembrò ai più una vera e propria azione di guerra, necessaria per sventare la minaccia di una nuova terribile banda di terroristi.

Messi alle strette, con tutto il popolo contro, gli scrittori si decisero a usare quella che da sempre è la loro arma migliore, l’unica che avrebbe potuto ancora salvarli: la parola.

A tal proposito, il vegliardo intellettuale teneva in serbo un’arma segreta, di cui nessuno, neanche la fidata compagna, era a conoscenza. Egli raccontò ai suoi compagni che nascondeva in una stanza un grosso baule, dove erano stipate centinaia di copie di libri insulsi, ch’egli andava sequestrando in giro. In pratica, l’uomo aveva passato diversi anni a convincere le persone che uscivano dalle librerie con in mano un’opera, a suo dire indegna, ad accettare il cambio che proponeva loro: un altro libro, la cui lettura avrebbe cambiato per sempre la loro vita, purché avessero acconsentito a consegnargli la porcheria che avevano appena acquistato, attratti più dalla pubblicità che dal vero contenuto dell’opera.

“Finalmente”, esordì l’artefice della Repubblica indipendente, “è giunta l’ora di dare un senso a tutta questa robaccia!”.

Insomma, il piccolo battaglione si sbizzarrì non poco nel rendere utili quei libri. Di alcuni strapparono le pagine, intrise di pessimo romanticismo e retorica da quattro soldi, per farne delle grosse palle di carta a cui dar fuoco. Di altri usarono invece i dorsi, che con i loro spigoli erano armi contundenti alquanto dolorose.

Mentre si provvedeva al lancio di palle infuocate e di copertine rigide, il canuto autore di satira si lasciò andare a teneri ricordi: “Non avete idea, voi altri, di quanti Bianciardi, Gadda e Landolfi sia riuscito a far leggere con questa semplice tecnica pedagogica…”.

Simone Ghelli

Come avrete intuito, questa storia non finisce qua, ma l’autore si riserva d’infliggervi quella giusta punizione chiamata attesa, che renderà ancora più gradita la lettura quando i pezzi della vicenda saranno stati rimontati a dovere, come si conviene a ogni finzione che si rispetti. Nel frattempo, tutto questo potrebbe essere accaduto davvero…

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