Confessioni qualunque – 3

#3 – Giancarlo

 di Nicola Feninno

Che resti tra noi.
Sono due anni che lo faccio: vado in garage prima dell’alba, accendo la moto e parto. Tutte le domeniche. C’è silenzio, per i primi tre mesi quelli del primo piano – madre padre e un figlio – si sono lamentati alle riunioni condominiali; in realtà si lamentava solo la madre, poi ha smesso di lamentarsi e di salutarmi.
L’alba in tangenziale sorge come una forma di giustizia oltreumana. Diffonde un velo di bellezza sui casermoni coi davanzali sfioriti, sui pochi panni appesi lì fuori che forse sono solo stracci da cucina, sui capannoni della Star, sull’antenna di Mediaset, sul quadrato giallo-blu dell’Ikea. Diffonde una calma gentile sulla miseria. Una tregua, un miracolo di cui nessuno sembra accorgersi.
Di solito viaggio sulla corsia di destra senza superare i cento chilometri orari; delle volte non faccio altro che percorrere la tangenziale, prendere un’uscita a caso, riprendere la tangenziale nella direzione opposta e tornare a casa per la colazione; altre volte mi spingo fino all’A4, verso Venezia o sulla tangenziale ovest e poi verso Genova, sull’A7. Spesso non mi fermo o faccio solo una breve sosta per benzina, caffè e una sigaretta. Leggi il resto dell’articolo

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La società dello spettacaaargh! – 19

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Ciao Matteo,

questo meditare sulle vie della cancellazione e sulla loro praticabilità mi ha fatto venire in mente Nessun paradiso (Round Robin 2011) di Enrico Piscitelli. Conosci la storia: nell’Italia della “dittatura democratica”, all’indomani dell’assassinio del Capo del Partito, un dissidente si reca a Venezia per incontrare il coordinatore della rete d’opposizione al regime, e a Venezia gli accadono due cose: si innamora e scopre la verità sul potere, e la verità non è bella, almeno per il lettore.
A un primo sguardo, complice la bandella («il Potere è inevitabile», «le rivoluzioni sono impossibili»), lo spirito del romanzo appare rassegnato, negativo: una sorta di atemporalità1 fa pensare a una natura umana sempre uguale, mai progredita e destinata a non progredire mai; e poi c’è una Venezia che la avverti sempre postuma e spoglia, fatiscente; e c’è un protagonista i cui pensieri sembrano poggiare sempre su un sentimento di vanità di tutte le cose. Dunque in Nessun paradiso c’è l’opposto della rivoluzione, del tempo come forza progressiva, dell’esaltazione della vita. Qualcuno potrebbe giudicarlo reazionario, o nichilista2. Eppure non fa questo effetto. Anzi, quando l’ho terminato, non solo mi sentivo bene, più pulito, e con le idee più chiare, ma addirittura con più speranza e con un maggiore controllo sulla realtà. Mi sono domandato perché. E penso di aver trovato la risposta. Leggi il resto dell’articolo

Fa un freddo abominevole

Fa un freddo abominevole.
Persino la leggera striscia di urina lasciata da Toni il Barbone lungo quella crepa del muro, vicino a uno dei vecchi tubi, è diventata solida. Un pezzo di ghiaccio ocra illuminato dalla luce debole di questo sole che non scalda.

Mi chiedo sempre come cazzo faccia Toni a pisciare all’aperto con queste temperature, tirarselo fuori a dieci gradi sotto zero. Non ha paura che gli diventi solido come quella strisciolina sul muro, e gli si spezzi in due, come capita ai surgelati nel freezer? Bah… Leggi il resto dell’articolo

I LIBRI ALL’INDICE

Che questi anni verranno ricordati come decadenti e oscurantisti non è certo una novità. A preoccupare, piuttosto, è il pericolo che ci si abitui al peggio, che si abbandoni lo spirito critico nel nome di un vecchio adagio: tanto non cambia niente, a che scopo indignarsi!

L’Italia, da questo punto di vista, è un laboratorio perfetto: paese crivellato di scempiaggini dalla mattina alla sera, popolo assuefatto alla moda delle barzellette apparenti, benché non certo inoffensive. Ad abituarsi alle sparate, infatti, si finisce col rimanerci impallinati.

L’ultima, ma solo in ordine di tempo, è quella di Raffaele Speranzon: l’assessore alla provincia di Venezia ha infatti proposto alle biblioteche di Venezia (ma estendendo l’invito anche alle altre province venete) di mettere all’indice tutti quegli autori che nel 2004 firmarono l’appello per la scarcerazione di Cesare Battisti.

Quest’ultimo, come sottolineato sul sito di Giap, è soltanto un pretesto: e rischia di diventare un pericoloso precedente (nella storia recente, s’intende), che consentirà in futuro di compilare altri elenchi di proscritti.

Difatti, qui non stiamo parlando di un “semplice” invito a non leggere certi autori, ma dell’intimazione a eliminarne i titoli in luoghi pubblici come le biblioteche, fondamentali per tutte quelle persone che si ritrovano nell’impossibilità di acquistare libri. Stiamo quindi parlando di una grave limitazione della nostra libertà (l’ennesima, in un paese che si spertica quotidianamente nel lodare un termine che sembra ormai svuotato di ogni significato), di un proposito autoritario che è figlio di un pensiero violento: quello  di chi si arroga il diritto di scegliere per noi cosa sia giusto leggere e cosa no.

Invitiamo quindi chiunque voglia prendere le distanze dall’iniziativa dell’assessore a scrivere direttamente al suo indirizzo di posta elettronica: raffaele.speranzon@comune.venezia.it

Scrittori precari

A BOCA AMARGA, MATE DULCE

Se lo diceva Aniello c’era da star tranquilli, non c’era spazio per interpretazioni sibilline. Aniello spiattellava sempre le cose così com’erano, nessun doppio senso, pane al pane vino al vino: andiamo alla spiaggia e facciamoci una tedesca, dài, proponeva.

Sorrento d’estate e i campeggi e le roulottes, Wake me up before you go-go degli Wham nel juke-box in pineta, i guappi più grandi con la pelle caffè che si strusciavano alle bellezze crucche, noi imberbi col cuoio sotto braccio, ciucci coi ciucci di plastica al collo, di tutti i colori.

Farsi una tedesca era, al contempo, sogno recondito e passatempo preferito delle nostre estati: bastavano due cortecce a far da pali, la traversa così ad occhio, in porta comincio io, urlava Gaetano, per pigliarsi cinque punti in più.

La tedesca può starci che tu la conosca come Calcio Tedesco, non quello che Bizzotto ne sa più di tutti, che come pronuncia lui Borussia Moenchengladbach nessun altro.

Il calcio tedesco è quello che si gioca in strada, e che funziona così: abbiamo venticinque punti per uno, Gaetano va volontario in porta e perciò parte da trenta. Noialtri cominciamo a palleggiare, a passarci la sfera al volo, acrobazie circensi manco fossimo virtuosi del chinlone: l’obiettivo è quello di far goal prima che la palla tocchi terra. Non importa se di piede di testa o di ginocchio, in sforbiciata o di schiena, col sedere o con la spalletta: che poi li toglie tutti, i punti del portiere, il goal di spalletta. Per ogni segnatura c’è un punteggio, un punteggio che viene scalato a chi difende la porta improvvisata, l’importante è che non ci si avvicini all’area piccola e che non si tocchi mai il cuoio con le mani.

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