novembre 4, 2010
di scrittoriprecari
L’elidroide nero con lo zero barrato sul fianco si avvicina, senza atterrare, al prato del parco giochi di Leopoli. Il vento delle eliche scuote le altalene.
– Domani torno in università – fa Raiden.
Il capitano non lo guarda.
– Per ora torna da tua madre, ragazzo, domani il mondo sarà molto diverso.
Raiden apre il portello e piomba con le mani sull’erba. Si alza in piedi. L’aria del primo mattino è sferzante. L’elidroide si solleva di nuovo; Raiden lo segue con lo sguardo, poi osserva l’alba deserta di Leopoli, le case e i palazzi trasfigurati dai raggi orizzontali del sole nuovo. Si sente addosso una puzza oscena e formidabile; interiorizzazione gli sembra una parola buona e ingenua. Comincia a muoversi veloce verso casa, saluta uno spazzino sdentato che cavalca il suo scarabeo mangiafoglie; l’indice che premerà il pulsante del campanello già gli trema, ci sente dentro i battiti. Il passo veloce diventa una corsa; le tempie gli premono, l’aria delle montagne gli risale le narici aggressiva; Raiden ci sente dentro, insieme, l’aria che ha respirato nell’ultima settimana e l’aria della vita a cui è tornato.
Le due metà della porta scompaiono nella parete, davanti ad Aller si apre la sala comandi: vede lo schermo maggiore proiettare il cielo dell’alba presidiato dalla piramide papale. In basso due ombre nere, una enorme e una minuta, Goliass e Futura. Entrambi si voltano.
– Goliass – fa Aller, – avanti, fa’ montare la bomba sul Numero Zero.
– Vado io, Aller.
– Non se ne parla, non ora che la nazione ha un presidente vero e la miglior rettrice pensabile.
Goliass emette un verso che assomiglia a una risata spezzata.
– E poi lo Zero – fa Aller – ha già la scansia per la bomba, è stato progettato anche per quello. Tu dovresti imbragarla sotto il presidenziale, non senti già quanto è brutto il termine? “Imbragare”. Fissato come sei con l’estetica vomiteresti da qui allo stomaco della tua gigamandra.
– La mia gigamandra?
Aller guarda Futura.
– Ognuno ha una gigamandra.
Goliass preme due tasti, contatta i tecnici della sala macchine. Aller esce dalla sala comandi.
Il Numero Zero, in modalità elicottero, ha un aspetto strano: la bomba, ovale, marchiata dall’emblema del disco terrestre, è fissata tra l’eccedenza posteriore dei pattini e la trave di coda. Immagina lo Zero in modalità droide, con quel grave incastonato nella pancia. Due battiti del cuore insorgono dal ritmo.
– Aller…
Il capitano si volta. Futura si ferma accanto a lui.
– Che c’è. Che ci fai qui.
– Come che c’è che ci faccio? Potrebbe essere l’ultima volta che ti vedo, è difficile da capire?
– Pensa a me: potrebbe essere l’ultima cosa che faccio in questa vita.
– E questo ti impedisce di comprendere i miei sentimenti in questo momento e di venirmi incontro?
– Soprattutto questo impedisce a te di valutare la reale entità delle cose e la differenza sostanziale tra la mia situazione e la tua e le esigenze che ne conseguono.
– Non cambi mai, Aller, non capisci mai.
– Nemmeno tu cambi e nemmeno tu capisci. Per esempio, prendi questa frase: io ti amavo. La capisci? La capisci persa come sei nei tuoi incubi di potenza e controllo, nel tuo mettere l’intelletto al centro, nel mettere al centro te stessa?
Aller sale sull’elidroide, la cupola si apre sul cielo di un blu appena più scuro del fiordaliso.
– Ci vediamo, rettore Rein.
L’abitacolo si chiude, il Numero Zero decolla.
Antiche canzoni emergono dal rumore delle pale, Aller le ascolta talvolta sparire e poi riemergere al punto giusto, con il tempo giusto. Un nuovo rombo si avvicina, un’ombra copre l’elidroide, Aller guarda in alto: è il caccia scarlatto.
– Ascoltami, – la voce di Futura irrompe negli auricolari – so bene chi sei e da dove vieni, mistico. Lascia che ti dia un’ultima lezione su come vanno le cose del mondo.
– A che mi serve questo ora, dottoressa Rein?
– A tutto.
– Sentiamo, avanti, il tempo c’è.
– Hai detto “ti amavo”. Anzi hai detto “io ti amavo”, che è pure peggio. Quanto ti riempie la bocca il verbo amare? Tanto, vero? Ah, l’amore, il mistico ne è pieno, e quando cade lo ricerca, e se non lo trova subito, allora ricorre ai suoi trattati, ai manuali, alle sedute di respirazione e meditazione, alla speculazione filosofica, si affossa di nozioni per raggiungere ciò che fugge a gambe levate da ogni nozione, vuole ciò che nella sua più intima essenza è il non volere. Non vede che nelle cadute c’è il perché della sua assenza. È un triste destino, il tuo, mistico.
– Lo so già da solo e sai che lo so. Sai cosa non sopportavo di te? La tua mania di dover raddrizzare a bastonate le cose che ti paiono storte: la tua filosofia della gioia, mia cara, è solo la gioia che senti nel bastonare. E adesso preferirei che mi lasciassi in pace.
– Poi hai detto che metto l’intelletto al centro. Bene, prendiamolo per vero. Adesso la prima carica intellettuale terrestre ti spiega l’eternismo, dimentica le immaginazioni di Geobalder e il razionalismo depresso di Gravian, l’eternismo caro mio è altra cosa. Eternismo è puntare alla grande comprensione dell’unità della Sostanza, porre l’intelletto al servizio della comprensione e non di se stesso; quanto è difficile capire questo concetto e non solo credere di capirlo, ma non solo per un mistico, sappilo, anche solo per un uomo.
– È importante tutto questo, ora?
– È fondamentale tutto questo ora, quindi seguimi: tu riempi la tua bocca con la parola amore e non togli nulla. Ti perdi nelle immagini che generi dalle cose e non vedi quanto sei distante dalle cose, vivi nella testa. Invece fa’ una cosa: togli le nozioni, togli il tuo dio, togli le parole, e prima, tra tutte le parole, togli la parola “amore”, togli le parole che ti gonfiano e generano le immagini con le quali ti balocchi, i peti del tuo ego dei cui effluvi ti stordisci, e togli anche le immagini e le storie che racconti attorno a chi ti ama per disegnarti un orizzonte e un senso, tu che della tua vita mai hai saputo che fare, togli anche i concetti come “male”, un concetto che rende imperfetti, perché tenta di pensare il nulla, togli “passato”, togli “futuro”, le tue compiaciute alienazioni nella nostalgia e nell’attesa, togli i sentimentalismi decadenti, il cuore che si crede di ricevere legge e leggerezza, togli tutto, fai spazio dentro te, poi riapri gli occhi, e se accanto a te c’è ancora una persona, prova a guardarla. Idolatra che non sei altro. Forse allora capirai cos’è quella cosa che solo nominandola rischia di morire in un’immagine. Non nominarla, allora, tu non dovrai più fare nulla, tutto verrà da sé, tu non hai mai dovuto fare nulla, è questo che non hai mai capito, non avresti mai dovuto fare nulla.
– Avrei dovuto fare molte cose. Tutte sbagliate.
– Hai fretta, passi rapido per il verbo, vuoi subito afferrare il tuo fuoco, o spirito, o terza forza del trinitariooo principiooo ontologicooo. Povero, in realtà crei, crei idoli chiamati col nome delle tue immagini: creazionista. Apprezza la saggezza del secondo piano, vedrai che il togliersi da solo dell’intelletto arriverà dove tu vuoi arrivare, e leva via quelle statuine a forma di cuore che hai sulle mensole del cervello: sono orrende.
– Che attinenza ha tutto ciò con questa missione?
– Cosa devo sentire? Un combattente dello spirito che chiede a un’eternista di spiegargli che attinenza ha tutto ciò con quello che va a fare? Sia io sia, da qualche parte, tu, sappiamo benissimo come finirà questa missione. So cosa stai andando a fare, Aller.
– Sto andando a farmi molto male, probabilmente.
–Aller, non c’è il male.
–Eh?
– Il male. Non c’è.
Jacopo Nacci
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