Sta arrivando il mondiale

Live at Palladium

28 maggio 2010

ore 17.30

Roma3 FilmTeatroFest

Palladium

Piazza B. Romano 8

Garbatella – Roma

Buone nuove dalla terra della fantasia

Al principio di giugno del 2010, Frigidaire tornerà (finalmente) in edicola non più nella veste di un inserto di un solo giorno dentro il quotidiano Liberazione, ma come un giornale intero, distribuito in parallelo con il quotidiano comunista, ma in vendita separata al prezzo di 3 euro e in edicola per tutto il mese. Partiremo con 16 pagine tabloid a colori su una carta di circa 60 grammi, poi vedremo se e come allargare gli spazi e aumentare eventualmente il numero delle pagine.

E’ un ritorno atteso da tempo, ma è soprattutto un nuovo inizio, poiché la storia non si ripete e il contesto sociale, politico, culturale e comunicativo in cui nasce il nuovo Frigidaire è assai diverso da quello del primo Frigidaire (ben 30 anni fa).

I cambiamenti più importanti sono soprattutto due. Il primo è l’aumento vertiginoso della comunicazione orizzontale attraverso la rete. Oggi, a differenza di 30 anni fa, ma anche di dieci anni fa, le notizie, le foto, i video viaggiano alla velocità della luce da un capo all’altro del pianeta e questo modifica profondamente anche la funzione dei giornali. Il secondo è l’aumento altrettanto vertiginoso e inquietante della comunicazione verticale. Sia nel senso del dominio della televisione su ogni altro mezzo di comunicazione, sia per il controllo quasi completo della stampa da parte di gruppi monopolistici che usano l’editoria solo per controllare le coscienze e vendere le loro merci.

A questi due processi fa da contraltare l’estendersi di piccole pubblicazioni a circolazione limitata, che conservano la loro autonomia, ma in spazi sempre più ridotti, spesso simili a ghetti di settore.

Un fenomeno che nel campo dei fumetti, della grafica, dell’immagine ha finito per separare nettamente (sia sul web che nella carta stampata) i prodotti “popolari” dai prodotti “d’élite”.

Ora proprio su questo punto il nuovo Frigidaire è una sfida controcorrente. Noi vogliamo infatti uscire dal ghetto del nuovo underground imposto dal sistema e inventare una rivista che sia contemporaneamente “popolare” e “d’élite”. Si tratta di creare un mensile divertente, “facile” e di massa, ma senza rinunciare al gusto intransigente e allo stile rigoroso che ci ha sempre caratterizzato. Per farlo abbiamo bisogno della partecipazione attiva di tutti quei soggetti che oggi vivono ai margini della “grande comunicazione”, ovvero dobbiamo sfidare i padroni della parola sul loro terreno, senza che nessuno debba per questo rinunciare alla propria radicale autonomia.

Sarà dunque un Frigidaire capovolto rispetto al passato. Non il prodotto di un gruppo redazionale relativamente chiuso che parla agli altri, ma uno strumento aperto alla partecipazione di soggetti, movimenti, immagini, idee che vengono da ovunque. Pensiamo a una redazione fatta di mille occhi, animata da quelli che vivono nelle periferie dell’impero così come dai giovani che si organizzano in circoli, piccole riviste, blog e siti web nelle metropoli europee, americane, africane o cinesi.

Per questo chiediamo a tutti coloro che vogliono partecipare alla nostra avventura di inviarci testi, fumetti, foto, racconti, testimonianze. Così come chiediamo a tutti di abbonarsi subito (l’abbonamento costa 30 euro) per creare quella rete essenziale di riferimenti territoriali che servirà a far fluire meglio anche la circolazione in edicola, che a sua volta sarà solo un momento della crescita di una comunicazione multipla sulla carta, sul web e nella coscienza di ciascuno.

Non abbiamo da perdere che i nostri limiti. Abbiamo un mondo da raccontare (e da cambiare) prima che l’onda nera del neofascismo, del neorazzismo, del cattivo gusto e del petrolio atlantico ci sommerga!

Vincenzo Sparagna

Sette piccoli sospetti

Sette piccoli sospetti (Fazi Editore, 2010)

di Christian Frascella

Maledetti ragazzini! Lo si pensa immediatamente, ma in maniera bonaria, nel momento in cui ci si addentra nel secondo romanzo di Christian Frascella che torna, dopo il meritato successo di Mia sorella è una foca monaca (sempre edito da Fazi Editore) a prendere gli occhi del lettore e a ficcarli dentro le sue pagine.

Maledetti ragazzini! Con le loro sette piccole teste, piene di storie ascoltate, di storie inventate, piene delle Loro Storie di tutti giorni. Sette dispetti alla quotidianità della provincia, che anche in questa seconda prova torna in maniera prepotente, claustrofobica. Roccella, ha già nel suo nome qualcosa che fa arrotare i denti nel pronunciarlo, qualcosa che riporta ad un certo bruxismo asfittico di sopravvivenza tra vecchie case, strade sterrate e chiacchiericcio del popolino. Frascella è un artista nell’intingere i panni di chi legge nella vasca calda della sua trama, dimostrando un bel salto stilistico con una coralità contagiosa che permette di affezionarsi epidermicamente ai sette dodicenni, di amarli maledicendoli ad ogni pagina per la loro vitalità.

Don con il suo fatalistico amore per il Signore che segna ogni attimo della sua gioventù; Billo con il papà fuggito chissà dove, la nonna che gli offre sigarette di nascosto e la madre che guarda fuori a cercare qualcuno nel passato; Corda, il figlioletto perbene della borghesia roccellese, con il futuro già scritto in collegio come per il fratello figliol prodigo; Lonìca, il padre terminale a casa che stenta a reggersi in piedi che gli ha trasmesso l’amore per la boxe, un amore che spingeva il ragazzino a picchiare duro, a fondo. Una boxe che ora sta perdendo fervore, appassendo come il respiro del genitore; Gorilla, fratello teppista e tanti lividi in faccia; Ranacci che lotta come il padre sindacalista, che già si vede uomo e ribelle, uomo e punitore di ingiustizie e alla fine il buon Cecconi, napoletano, figlio di due poveri fruttivendoli ambulanti che quando parla in dialetto stretto ricorda Salvatore de “Il nome della Rosa”. Sette amici che crescono nei difficili e spensierati anni 80 legati tra di loro e con una sola certezza: essere dei morti di fame destinati a diventare degli adulti morti di fame. L’unica soluzione per fuggire è una rapina in banca.

Maledetti ragazzini! Ma come vi viene in mente?! Come fate con le armi? Come fate con le guardie giurate e gli imprevisti che vi si parano davanti? Ma soprattutto come fate ora che il Messicano, il più terribile boss che sia mai esistito, una leggenda del crimine, è tornato in città?

Maledetto Frascella! Sei dannatamente bravo.

Alex Pietrogiacomi

Maggio, mese di matrimoni: luoghi comuni e prospettive coniugali.

Siamo andati a cena più tardi del solito, mia moglie è rincasata da poco ed il motivo è legato a tutta una serie di congiunture di tipo economico-familiare, a cui vorrei aggiungere una riflessione sulla vena consumistica che rinsalda gli affetti familiari. La figlia di mio cognato – nostra nipote – ha brillantemente superato l’esame di quinta elementare e la zia – proprio lei, mia moglie – non ha potuto fare a meno di accompagnarla al centro commerciale a comprare una bambola dai lunghi capelli biondi.

La cosa non mi va a genio per vari motivi, nessuno dei quali particolarmente valido. Ma sommati mi mandano in bestia. Uno è che il regalo l’ha comprato la zia e non gli zii, e quindi il già poco nobile scambio regalo-per-affetto non mi rende neppure gratificabile, ringraziabile. Due è che il regalo costa un sacco di quattrini allo zio, e non solo alla zia. Tre è che la nipote in questione possiede un esercito di bambole bionde, una mansion di Playboy per l’infanzia, un’orgia di plastica in cui il nuovo acquisto risulta superfluo. Quattro, diobono, è l’esame di quinta elementare, non la prima comunione, o il compleanno, o la laurea.

Nel senso: ci può stare. Ma son nervoso e ci tengo a farglielo pesare.

A tavola vorrei attaccare un discorso che suona più o meno: non condivido il fatto che tu vizi tua nipote e che tu tenti di comprare il suo amore con un gingillo. Però non so come partire, spero che inizi lei. È una cosa orribile iniziare per primi a litigare.

A tavola succhio volutamente gli spaghetti in modo sguaiato. Mi riprenderà, mi sgriderà, farà un commento sprezzante. Ma lei: nulla. Continua ad avvitare la sua forchetta nella scodella. Ogni tanto tiro su col naso, sperando di farla imbestialire. Nulla. Anzi: mentre gira la posata nel piatto e fissa nel vuoto tra il bicchiere e la bottiglia sembra addirittura sorridere in maniera provocante, trivellatrice di porcellana, intramontabile porcellona.

Mi dimentico il litigio. Mi chiedo se l’ha fatto apposta quel sorrisetto, come a dire: ah, come sono felice. Sì: l’ha fatto di proposito: per togliermi dalla testa l’incazzatura di un acquisto non condiviso. Lei sa che io sono arrabbiato e vuole perciò mostrarsi adorabile.

Ma io resisto, e decido di forzare la situazione fino al limite, geniaccio del pretesto che non sono altro. Accendo la tv, ci sono gli Europei di Calcio. Gruppo C, lo stesso dell’Italia. C’è Svezia – Bulgaria, la partita meno interessante di tutto il torneo. La Bulgaria non ci voleva neanche andare, penso. Sono già sotto di tre gol. Butto un occhio allo schermo e un occhio a mia moglie. Sta guardando la partita. Lei – guarda – una – partita – di – calcio. La Svezia segna ancora e lei dice qualcosa come ullallà! Poi mi guarda e bisbiglia, grande azione eh.

Spengo la tv incazzato, odio la Bulgaria, odio la Svezia, odio la tifosa bionda esultante, odio la bambola bionda di mia nipote.

Lei mi prende la mano e mi chiede cosa hai?

Io a questo punto potrei iniziare a spaccare bicchieri, però rispondo nulla.

Lei dice dai, dimmi tutto.

La prendo con calma e dico che in ufficio ho avuto milioni di pratiche, che non posso essermi laureato con 110 e lode per riempire scartoffie, offendo il mio compagno di stanza, quella troia di sua moglie, offendo il mio capo, il mio lavoro, la burocrazia.

Lei a questo punto dice la burocrazia è tra le strutture sociali più difficili da distruggere.

La guardo incredulo e le chiedo: è Guccini?

Le mi fa: no, è Max Weber. Non è uno dei tuoi preferiti?

In silenzio taglio una fetta di pane, mi chiedo se Weber abbia realmente mai detto qualcosa del genere, e di come in ogni caso lei possa saperlo.

Cincischio con la tovaglia e con l’indice raccatto briciole e regredisco alla preadolescenza.

Mi domando: come fa ad essere così?

D’improvviso il fine psicologo che è in me si sveglia, e capisce tutto: o ti vuole corrompere o ti nasconde qualcosa. Cerca di ammansirti per comprarsi un paio di scarpe, una borsa, un libro, un viaggio. Forse è incinta, forse l’hanno licenziata, santiddio ha l’amante.

Sparecchiamo e corro in camera in cerca di prove.

C’è la sua borsa sul letto. Sento che sciacqua i piatti: via libera. Apro e arruffo e ciaccio e mi immergo nel caos primordiale, nel disordine prima della creazione, nella sua borsa.

Tra gli assorbenti ed i chewinggum c’è un pacchettino. La carta è di una gioielleria del centro commerciale. Primo pensiero: s’è comprata un gioiello, una collana. No, è più pesante, è un orologio. Secondo pensiero: non è per sé, è incartato, chi mai si fa infiocchettare qualcosa di proprio? È per un’altra persona. È per un altro uomo. Terzo pensiero: quanto cazzo sarà costato. Quarto pensiero: non ha comprato qualcosa per la nipote, era un pretesto, una scusa per allontanarsi da me. Vedo un bigliettino con scritto la data di oggi.

E la scritta “la meraviglia di un anno, in mezzo all’eterno.”

È il nostro primo anniversario di matrimonio, io me ne sono dimenticato. I sensi di colpa mi trafiggono, come le frecce a San Sebastiano, sudo, mi pento, guardo l’orologio. Le 21 e 45. Tutti i negozi sono chiusi. Sto perdendo, sono spacciato, sono il peggiore, sono la Bulgaria.

Rimetto la borsa. Mi affaccio in soggiorno e dico ehm amore scendo un attimo giù ho lasciato una cosa in macchina.

E in questo istante sono un velociraptor giù per le scale e ripongo le mie speranze – il gol della bandiera – nel bar di quartiere dove, ad ogni costo, devono avere almeno una bottiglia fredda di champagne.

Daniele Pasquini

L’immaginazione al dovere

Attenzione! Attenzione!

Il nuovo superspeciale Collettivomensa è pronto.

All’interno ci trovate roba di questa gente qui:

scrittori: Giorgio Vasta, Vanni Santoni, Peppe Fiore, Andrea Coffami, Gianni Solla, Jacopo Nacci, Gregorio Magini, Sacha Biazzo, Matteo Salimbeni, Biagio Salerno, Valerio Aiuti, Pino Casamassima, Edoardo Olmi

disegnatori e fotografi: Francesco Cattani, Antonio Sileo, Silvio Giordano, Riccardo Mannelli, Elena Rapa, Francesco D’Isa, Luca Batoni, Pentolino, Marco Purè, Simone Cortese, Massimo Pasca, Laura Giardino, Isasasa, Marco Corona, Davide Garota, Davide Reviati, Dottor Pira, Giulio Giordano, Walter Giordano, Simone Nigraz Pontieri, Simone Lucciola, Squaz, Rocco Lombardi, Ivan Manuppelli, Tuono Pettinato, Sara Pavan, Maicol e Mirco, Marco Margarito, Claudia Ragusa

Come, dove, quando e perché qui.

Prossima fermata giovedì

incastRIMEtrici vol.2

E’ finalmente disponibile incastRIMEtrici Vol.2, la nuova antologia di Poetry Slam e Rap a cura di Marco Borroni.

Il progetto si presenta come lo sviluppo, la concretizzazione e l’affermazione di un’intuizione letteraria avuta dall’autore circa dieci anni fa, e riunisce i due tratti distintivi dei precedenti lavori: l’aspetto saggistico-didattico di Rime di Sfida e la poetica di incastRIMEtrici Vol.1

La parte introduttiva viene affidata alle parole di quattro protagonisti nazionali ed internazionali della scena quali Dome Bulfaro, Natalia Molebatsi, Alejandro De Luna e Marco Martinelli (in arte Rise) intervistati con lo scopo di approfondire le peculiarità del Poetry Slam, dello spoken word e della sempre più entusiasmante disciplina del beat boxing.

Il nucleo centrale, invece, lascia spazio ai testi di quarantotto artisti (suddivisi come in un CD tra rappers e poeti) tra cui si segnalano le presenze di Kaos One, Lugi, Baba, Clementino, Negrè, Vaitea, Silvia Cambiè, Carlo Molinaro, Adriano Padua, Angelo Zabaglio e Alfonso Maria Petrosino.

Pagina dopo pagina, vi sembrerà di essere condotti per mano all’interno di un libro che è film, poesia ed energia Hip Hop.

Perché Marco Borroni è in questo terreno che affonda i suoi strumenti di ricerca mettendosi in gioco – ancora una volta – per avvicinare poesia contemporanea e rap, due facce di un’identica medaglia contraddistinte da specifiche connotazioni artistiche e sociali.

Il concetto viene espresso chiaramente già dalla copertina (realizzata da Blazer) che nella perfetta unione di fronte e retro trova la sua ragion d’essere.

Come in un puzzle, l’autore incastra minuziosamente rime e citazioni sin dall’exergo, portando il lettore a comporre il quadro generale solo in conclusione.