Prisma

di Francesco Quaranta

L’obiettivo della Reflex è una stella fissa che turba il quieto buio di quell’angolo di stanza; dalla parte opposta, il faretto inonda di sole freddo il viso del professore.
“Il mio nome è professor Ulisse Urbani, ideatore e soggetto cavia numero zero zero uno del progetto Prisma”.
Una volta bastava contattare qualche rivista scientifica o attizzare l’opinione pubblica con espressioni come “nuova frontiera della scienza” o “scoperta innovativa”. Oggi, senza live streaming su Youtube, non vai da nessuna parte.
“A breve entrerò nella cabina alle mie spalle, dov’è alloggiato il dispositivo…”
Di solito mi occupo di riprese e montaggio di webseries, ma la mail del professore ha calamitato la mia curiosità come solo i primi video di Andrea Diprè sapevano fare.
“Se qualcosa dovesse andare storto… Dite alla mia famiglia che gli voglio bene. Tutto questo lo faccio per loro”, mormora, mentre io carico un suo scatto su Instagram: professore diventa cavia di esperimento senza fondi #nomoney #vergogna #ricerca #tette #ilcapitano #pontifex.
Poco altro succede, Ulisse Urbani si accarezza la testa rasata quasi a voler disperdere la nebulosa di incertezze e poi si alza lento, ma con fermezza.
Penso che qui ci piazzerò una bella colonna sonora di suspance trillata e sostenuta da una trama d’archi a sottolineare ogni suo passo.
Lui entra nella cabina e Leggi il resto dell’articolo

Le quattro stelle

di Domenico Caringella

play: http://www.youtube.com/watch?v=ie8Vny4uZ_0

“Sacamos los pesados revólveres (de pronto hubo revólveres en el sueño) y alegremente dimos muerte a los dioses”
“Estraemmo pesanti pistole (a un tratto comparvero delle pistole nel sogno) e allegramente ammazzammo gli dei”
(J.L.Borges, Ragnarok)

La sciabola che pendeva dalla cintura di Fergus Hamilton era irlandese. Era uscita quasi un secolo prima dalla bottega di Seamus Palmore, il maestro di Galway di cui tutti conoscevano il nome e l’abilità ma che nessuno aveva mai visto. Si diceva che Palmore riuscisse a dare alle lame un filo straordinariamente sottile e che per temprarle usasse il whisky e il sangue dei maiali del suo porcile. Una leggenda da taverna pretendeva che avesse forgiato personalmente la spada che l’avrebbe ucciso il giorno dopo in un duello.
E poi erano, o sembravano, incredibilmente leggere, le spade di Seamus. Doveva essere vero, perché Fergus e prima di lui suo padre e suo nonno, quando erano in battaglia si Leggi il resto dell’articolo

Il libro n. 5 di Emile Olivadi – un estratto

Il Libro n. 5 di Emile Olivadi* (Malicuvata E-Book, 2014) inaugura la collana e-book di Casa Lettrice Malicuvata e apre la pubblicazione a puntate dell’Antiguida, romanzo collettivo che si compone di 5 volumi. Prossima uscita: Decimo Cirenaica, Libro n. 1.

Emile Olivadi
Rue de Bagnolet, 75020

Dopo aver travagliato tutto il pomeriggio al film di JWG nel suo studio in Dupleix si parte verso un concerto in Rue de Bagnolet. Rue de Charonne, dopo la métro di Alexandre Dumas, diventa Rue de Bagnolet, la strada sale leggermente costeggiando il cimitero e i numeri sono ancora bassi, e noi dobbiamo arrivare fino al 155 di Avenue Gambetta.
Arrivati davanti al nostro bar che il concerto è quasi finito c’è Valentin che mi accoglie caloroso di abbraccio e alito d’alcol. On se fait la bise, mi presenta Marc seduto al tavolino a fumare un sigarillo, e mi dice di segnarmi il suo portable. Gli chiedo se davvero avrò una stanza tutta per me, lunedì prossimo ho un importante incontro con Robert – e due giorni appena dedicati a te mi sembrano pochi, Robert, ma sono questi, saranno questi ultimi due. E no, Valentin mi dice che appresso non ha le chiavi della sua casa, che dorme da Justine stanotte, dorme dalla sua fidanzata, ma può recuperare le chiavi della sua casa e darmele.
Tu entri, mi dice, e la mia camera è la seconda a sinistra, oppure… si ferma, guarda Marc e gli chiede: tu hai una camera per far dormire Emile?
Oui, risponde Marc.
Ça marche?
Allez!
Benvenuto a Parigi, mi dice Marc.
Merci lo dico da quando sono arrivato: merci bien, quindi.
Poi entriamo dentro, pour le dernier morceau, e ci siamo un po’ tutti per la folie di Pablo; è l’ultima canzone e ci siamo anche noi, io e JWG beviamo alla santé prima della folie di Pablo improvvisa e inaspettata: beviamo, le dernier morceau finisce e inizia la folie di Pablo che stacca il microfono ma continua a parlarci dentro: ripete minaccioso di Leggi il resto dell’articolo

La sfida di Garbanzo

di Giorgia Es

No, non ancora, dannazione!
Avverto la veglia subentrare, a ritmo più incalzante, carica di una luce invadente.
Non svegliatemi, vi prego.
Lasciate che finisca questo sogno che sogno da tempo; non chiudete la porta ora che demoni saltellanti e angeli combattenti stanno per svelarsi. Voglio vedere il compimento, se esiste un luogo in cui sogni come questo possono fermarsi, immortalarsi. Non posso risolvere ciò che non so, ma questo in sogno non lo capisco.
Eccomi, gli occhi sbarrati fissi alla macchia sul soffitto che un giorno dovrò decidermi a contenere, e con essa il signor Paolo, indiscreto e umido proprietario, inquilino del piano di sopra. Resto immobile nel letto, rigida, aggrappata alle coperte con le mani piccole e sudate, nel tentativo di afferrare qualche immagine onirica sfuggita alla dissolvenza: l’unica cosa che vedo, nitida, è l’ingombrante e invisibile presenza del signor Paolo che, come ogni mattina, mi fissa gocciolante. Mi fa ricordare che non ho un lavoro, dunque soldi. E per oggi sono finiti pure i sogni.
Mi giro su un fianco, sconfitta dal rimprovero; chiudo gli occhi, tento di inseguire il sogno con la disperazione: è solo buio che vedo. Mi arrendo: son desta. Di fronte a me, sul comodino, si impone un’altra sfida, amena e accattivante, di novecentosessantadue pagine: Piume sognate di Ignacio Garbanzo mi ricorda che anche oggi ci sarà qualcosa da inventare.
Garbanzo, viaggiatore infaticabile e autore ingiustamente dimenticato dai più, canta della vita dei Puturachos, uccelli della famiglia Fregatidae, originari di L., una remota isola del Pacifico a cinquemila chilometri dalle coste settentrionali del Cile, in corrispondenza col deserto di Atacama, uno dei luoghi più aridi del pianeta tanto da vantare, nella sua parte più ostile alla vita, l’appellativo di “la doppia ombra della pioggia”. L’isola di L. è invece luogo florido di vegetazione e incantevoli leggende, di cui il nostro Garbanzo ci diletta con un sapiente e meticoloso uso della penna. I Puturachos, che nascono con la luna nuova e muoiono con la luna piena, nella loro breve vita anticipano ogni giorno l’alba per levarsi in volo in cerca di una nuvola dentro cui cambiarsi d’abito: vi si immergono con le piume vecchie e ne escono cinti di colori tanto più vivi e gioiosi quanto sono stati i sogni della notte. Così, ogni giorno, i Puturachos si portano addosso i colori del Leggi il resto dell’articolo

Lettera d’amore per Diana

di Simone Lisi

Gli imbianchini son persone, come te e me, lo sapevi? Benni è albanese e prima guidava i camion. Ora fa l’imbianchino precario, per Claudio. Claudio fa l’imbianchino da mille anni e prima di lui altri Claudi come lui hanno imbiancato, alzandosi presto al mattino, guidando il furgone fino in città. Lui, Claudio, vive a Montespertoli e tifa per la Juve, perché gli sta un po’ sul cazzo Firenze come città e i fiorentini, quindi anche la squadra; preferisce la Juve che gli dà l’idea di essere italiano e quindi basta, vaffanculo. Claudio è un tipo un po’ brusco.

A loro non interessa molto il calcio, era solo un canale che ho provato a usare per entrare nei loro cuori così bianchi, ed ha funzionato; al che oggi come ieri abbiamo mangiato tutti e tre insieme, anche se prodotti alimentari distinti. Loro le schiacciate della Coop e gli affettati nella carta argentata, tipo mortadella; io degli avanzi della cena di ieri, tipo del riso, oppure della focaccia ancora mezza surgelata. Mi hanno lasciato un po’ della loro schiacciata con l’uva; io invece ho preparato il caffè per tutti, che poi abbiamo bevuto parlando – sopratutto io – di sigarette, dello smettere, anche se loro non hanno mai fumato, oppure parlando di telefoni cellulari e di telefonia – Claudio ha idee affascinanti al riguardo – e parlando di te, anche se la conversazione, come ti dicevo, non l’ho innescata io, ma loro, e io l’ho solo riempita con parole scintillanti e concetti facili, ma non semplici, perché penso che poi con le mie parole nelle orecchie ci torneranno a casa.

Non dico niente di strano o di eccezionale: è il mondo del lavoro che a noi, a me e a te, appare Leggi il resto dell’articolo

Bio per Twitter: istruzioni per l’uso

di Christiane d’Arc

Per chi volesse farsi un account TWITTER ma non avesse tempo di riempire tutte quelle noiosissime INFO riporto qui di seguito degli esempi di BIO che possono andare bene per tutti.

1) Insegno storia da quando sono nato, gli altri giorni free climber. Interessi: la Marcuzzi, escherichia coli, le scarpe bagnate vanno phonate.

2) Rossa nel cuore e in testa, perché si può essere stupide senza essere bionde, con il pelo sullo stomaco, quello invece nero e riccio.

3) Con i piedi per terra ma la testa tra le nuvole. Il cuore nel vento. Un piede nella tomba. Insomma ubiqua. Seborroica. Tisanoreica. Uretra.

4) Assessore per hobby, disoccupato a tempo pieno, riguardo le foto dell’erasmus, sai quanti zeri pagammo quel trans, poi vi Leggi il resto dell’articolo

Per oggi si può respirare

di Carmen Vella

Dopo quello che è successo, non mi va di andare di là a vedere la tele con la mamma e il papà. Voglio starmene un po’ qui a ripensare alla giornata e fare un riassunto sul diario. Tanto oggi c’è ancora la fiction. E quelli vestiti coi pizzi e le gonne fino ai piedi come nell’antichità non si possono guardare.
La mamma ha insistito, si vedeva che mi voleva con loro. Mi ha detto che potevo tenere il telecomando e scegliere io. Ma stasera non c’è verso, le ho promesso che la tele la vediamo insieme domani, che è meglio ancora perché c’è X-Factor e facciamo le scommesse su chi mandano a casa (e c’azzecco quasi sempre io).
Così sono già sotto il piumone con la penna in mano. C’è un buon profumo di marsiglia perché ho preso il pigiama pulito dallo stendino, così la mamma non lo deve neanche stirare. Ho acceso la radio con il volume basso, almeno c’è un po’ di sottofondo e mi sembra di notare meno il silenzio al piano di sopra.
Il cell è spento, per oggi voglio dimenticarmi che esiste.
Apro il lucchetto e sfoglio veloce le pagine già scritte. Devo cercare di non calcare troppo con la punta della penna, se no finisce che ci faccio un buco. La carta è tutta ondulata, però mi piace passarci il dito sopra e sentire le parole in rilievo.
Poi trovo la prima pagina bianca e inizio.

Caro diario,
scusa se in questi giorni non ti ho scritto ma avevo l’interrogazione di italiano e dovevo studiare un capitolo nuovo più tre vecchi perché la prof ci aveva detto che li chiedeva (anche se alla fine ha fatto domande solo su quello nuovo, che stronza! Se lo sapevo, almeno ieri andavo da mia cugina che mi aveva invitato a giocare alla Wii).
Ti scrivo perché oggi è successa una cosa che ti devo assolutamente raccontare. Una cosa brutta, anzi bruttissima, che riguarda Leggi il resto dell’articolo

La voce

di Domenico Caringella

Mentre facevo scattare le due cerniere della 48 ore, riempita con lo stretto necessario, ho pensato che stanotte è la prima volta che ho sentito la voce di mio padre, quella vera. Mio padre ha sempre parlato piano, premurandosi di non far oltrepassare alle parole le pareti di una stanza, o di non farle arrivare alle orecchie di persone diverse da quelle a cui erano indirizzate. Però io ho sempre saputo che quella sua attenzione a non alzare la voce non è mai stata una delicatezza per chi lo circondava, ma un suo modo di proteggersi e di non dimenticare da dove era riuscito a tornare. Da quando è un vecchio poi, ha preso a sussurrare, e per capire cosa sta dicendo e perché, cerco di leggergli negli occhi, che non hanno mai smesso di raccontarmi qualcosa su chi avevo davanti.
Non ho avuto nessuno, eccetto mio zio – che il campo aveva solo silenziato e non ammutolito come suo fratello – a cui poter chiedere che persona fosse stata mio padre prima che alla fine dell’orrore attraversassimo l’atlantico, io e lui, e che arrivassi all’età in cui il cervello riesce a trasformare la vita in ricordi; tuttavia ho compreso presto di avere accanto qualcuno che non era la stessa persona che aveva camminato con quel nome e con quel corpo sulla nostra terra lontana, dove sono tornato io solo e dove mi trovo adesso. Perché sopravvivere e ricominciare da capo per lui non è stato come rinascere; è stato proseguire senza più nulla o quasi, dove quel quasi ero io.
Quando ho risposto a telefono, emergendo da un sogno, che come sempre mi succede non si è portato dietro nulla nel reale, la voce Leggi il resto dell’articolo