Editoria precaria

[Rilanciamo questo pezzo di Alessandra Amitrano, precedentemente pubblicato su Scrittori In Causa]

Non sono precaria come scrittrice perché fare la scrittrice non è il mio lavoro, nonostante sia la mia passione più grande, necessaria. Non è il mio lavoro perché in quello che scrivo metto cose che vanno aldilà dell’immediato, della spendibilità. Scrivere mi prende tempo, impegno, silenzio. Scrivo di giorno ma scrivere mi chiede quello che possiede la notte, un tempo statico, dilatato, sollevato da terra.

Sono precaria perché scrivo. Forse, considerando i tempi e la mia indole, sarei precaria anche se non scrivessi. Sono precaria perché per vivere e far vivere mio figlio, il mio compagno e io dobbiamo costantemente proporci, imporci, convincere, spiegare. Dobbiamo chiedere di essere pagati, dobbiamo chiedere di essere equamente pagati, dobbiamo ricordare di essere pagati. Dobbiamo inventare, ideare, pensare, camminare, correre, parlare e rispondere.

No, non mi sento precaria come scrittrice, e penso che, come mi ha fatto osservare Carolina, scrittura e precariato siano due cose che non hanno senso di coesistere, ma se gli editori, e non parlo del fortunato caso del mio esordio, investissero di più su libri preziosi, forse gli scrittori potrebbero permettersi di fare meno i precari in altre circostanze. Fare i precari, e non essere precari, perché il precariato si è spinto così a oltranza che da modalità è diventato norma, da approccio è diventato condizione.

San Precario a Torino mi ha fatto scoprire chi sono i veri precari dell’editoria: Adelphi: 7 redattori assunti e 12 collaboratori, di cui 6 a partita IVA. Mondadori (Oscar): 6 redattori assunti, 9 cocopro con fisso mensile, 10 cocopro pagati a cottimo (cioè a cartella) e 1 collaboratore con partita IVA. Rcs (Rizzoli-Bur): 19 redattori assunti, 17 cocopro, 2 interinali, 4 stagisti e 1 partita IVA. DeAgostini Scuola: 18 redattori assunti e 13 a progetto (ma con obbligo di presenza quotidiana in azienda). Mondadori Education: 31 redattori assunti e 31 atipici nelle sedi di Milano e Firenze. Piemme: 56 dipendenti assunti, 27 collaboratori e 2 interinali.

Poi c’è un mio amico. Ha lavorato instancabilmente in una casa editrice che è cresciuta anche grazie alla sua bravura. Da più di un anno non lavora più lì, devono ancora pagargli sei stipendi.

Poi c’è uno scrittore, che da poco tempo è morto di cancro. Avanzava ancora i soldi del suo ultimo libro.

E poi c’è la vergogna.

Alessandra Amitrano

Rubrica che vieni, rubrica che vai

Slacrimuzzo.
Sembra ieri ch’erano appena finiti i mondiali, avevo scritto qualcosa pe “i mondiali dei palloni gonfiati“, mi ricordo mica si chiamasse così, quella rubrica, Liguori mi fa “e se scrivessi delle ròbe di pallone per tutto il campionato?”. Seh, penso, seh, tutto il campionato, pallone, seh, poi il primo pezzo, è un ritaglio di quotidianità pallonara, parla del posticipissimo del lunedì e del mio parrucchiere, del fatto che i parrucchieri di lunedì siano chiusi, del fatto che allora chi sforbicia di lunedì?, i calciatori, l’unica sforbiciata del lunedì, la loro e la mia che ne racconto le gesta, ah ah, delle copiose risate. Questo il panettone non lo mangia, pensava Liguori.
Ci siam fatti tutta la stagione.
Vi si vuole del bene.
Slacrimuzzo.

Fabrizio Gabrielli

Una volta c’erano le bandiere, calciatori che esordivano da ragazzi in prima squadra e finivano la carriera senza cambiare casacca. Molti di loro diventavano allenatori, dirigenti: un posto si trovava sempre. Erano altri tempi. Qualcuno dice: quelli sì che erano bei tempi. Oggi invece i giocatori simbolo sono in via d’estinzione. Siamo abituati a vedere fior di campioni trasferirsi dal Barcellona al Real Madrid, o viceversa, dal Milan all’Inter alla Juventus e così via, è tutto un valzer di carnevale, conviene, si fanno le magliette nuove, i tifosi le comprano, son soldi, cosa credete, mica amore, passione, attaccamento alla maglia e quelle robe lì. È il capitalismo, bellezza! Si stava meglio quando si stava peggio. Mogli e buoi dei paesi tuoi. Non ci sono più le mezze stagioni. Sì, ok ok, smetto. Dicevamo: le bandiere. Ve l’immaginate, chessò, Facchetti con la maglia del Milan? Certo che no. Rivera in nerazzurro? Neppure. Oddìo, è vero che Rivera quando ha smesso con il calcio e s’è buttato in politica, dopo l’esordio democristiano, ha militato poi in diverse formazioni politiche. Senza dubbio, era meglio come calciatore. I mondiali del ’70, pensaté, me li ricordo pure io che non ero ancora nato: la staffetta Mazzola-Rivera, Italia-Germania 4 a 3, Pelè che vola, su, più su, più in alto di tutti, colpisce la palla di testa che si insacca alle spalle di Albertosi, era solo l’antipasto, alla fine si prese quattro pippi e tutti a casa; il Brasile si portò la Coppa, quella coppa maledetta che non si sa che fine abbia fatto, se sia diventata davvero lingotti d’oro o dove sia finita. Le storie misteriose contribuiscono a creare il mito, ad alimentare la leggenda. Si leggevano, qui su SP, il lunedì, le storie sul calcio, a base di calcio, che sfornava per noi Fabrizio Gabrielli. Insomma, questo panegirico per comunicare che, finito il campionato, da oggi Fabrizio ci saluta, che il giorno odiato da Vasco qui su SP non ci saranno più le Sforbiciate, quelle che parlavano del giuoco del calcio e di tutto quel fracco di altre ròbe che rotola attorno alla sfera di cuoio più bastarda della storia umana. Lo so, vi mancherà, a me già manca la mail infrasettimanale con l’anteprima. Fidbeccami, scriveva sempre Fabbrì, come lo chiama Simonerò. E io fidbeccavo, segnalavo i refusi, le sviste e quelle cose che si fanno prima di pubblicare, ma non fatemici pensare altrimenti mi viene il magone e slacrimuzzo pure io.

Ciao Fabbrì, lo sai che quando vuoi, se scrivi nuove Sfò, me le giri, le fidbecco e le pubblichiamo, mica ci son problemi, che ci frega, facciamo come ci pare, lo spazio si trova, non sarà di lunedì, le pubblicheremo in un giorno pari o il venerdì, ma hai capito, dài, facciamo che poi, senza impegno, ogni tanto fai qualche incursione e insacchi una Sfò, i lettori ti aspettano e lo sai che i lettori non si deve mica deluderli, ti aspettiamo, la mia mail ce l’hai oppure ci sentiamo su feisbùc. Ah, dimenticavo: grazie Fabbrì, le Sfò ci mancheranno. Ci son piaciute, le Sfò, e pure tanto. E visto che siamo in un momento di ringraziamenti, non me ne vorrai se colgo l’occasione per ringraziare, a nome del collettivo, i tantissimi, sempre più, lettori che ogni giorno passano dal nostro blog, triplicati negli ultimi mesi, tanto da raggiungere, nelle ultime due settimane, addirittura una media di mille lettori. E allora grazie, mille grazie, e quale modo migliore, per ripagare la fiducia, l’affetto e il tempo dedicato a noi e agli autori che hanno collaborato e collaborano per far vivere questo spazio, che dare la notizia che è in arrivo, in esclusiva su SP, una bellissima sorpresa? Il prossimo lunedì i barbieri saran chiusi, il campionato è finito, le coppe pure, ma su queste pagine troverete una nuova rubrica che son certo ci offrirà importanti spunti di riflessione. La rubrica sarà curata da due autori che già in passato hanno trovato spazio qui: Jacopo Nacci e Matteo Pascoletti. L’idea di offrire loro una rubrica m’è venuta perché, spesso, leggendo o partecipando a discussioni su piazza Facebook, mi ritrovavo ad apprezzare, tra i commentatori più attivi, proprio Jacopo e Matteo. E allora, mi son chiesto, perché non chieder loro di scrivere qualcosa per noi? Dopo aver consultato gli altri, ho scritto loro, dicendo la mia idea, di questa specie di conversazione, di botta e risposta a settimane alterne. Per mia grande gioia, i due hanno accettato con entusiasmo la nostra proposta. Proviamo, s’è detto. Si comincia subito. Sul nome e sui primi argomenti che si toccheranno, per adesso, manteniamo massimo riserbo. Vi possiamo dire che si parlerà di libri e letteratura, politica e attualità, filosofia e tanto altro. Non mancate il prossimo lunedì, su Scrittori precari comincia la nuova rubrica di Jacopo Nacci & Matteo Pascoletti! Leggi il resto dell’articolo

LA COLOMBO NON PERDONA

Quello che segue è il terzo racconto (qua il secondo) ispirato ai disegni di Lucamaleonte e scritti appositamente per la serata di letture tenutasi al Laszlo Biro il 5 maggio.

La Colombo non perdona

di Luca Piccolino

ROMA, 1996

Pietralata. Due del mattino. Fari su una strada buia.

Il Piastra, non si preoccupava di andare piano. Non c’erano abitanti in quella viuzza, soltanto un paio di magazzini di materiali edili e uno sfasciacarrozze. Al contrario dei magazzini, però, lo sfasciacarrozze era aperto.

Il Piastra rallentò, fermandosi innanzi a un cancello sovrastato dalla scritta verniciata a mano: Autodemolizioni Proietti. Diede due colpi brevissimi di clacson e dopo neanche trenta secondi il Sorca Mario era già ad aprirgli.

Velocemente l’auto transitò nel piazzale per infilarsi in un garage costruito con bandoni di lamiera. Mario accostò il cancello e raggiunse il Piastra.

«Dove l’hai fregata ‘sta merda?»

«Perché merda? Guarda, non c’ha neanche trentamila chilometri. Ed è diesel!»

«Per me potrebbe andare pure ad acqua, resta una merda di macchina coreana che non vale un cazzo».

«Oddio ce n’è sempre una però! Una volta è giapponese. Un’altra è coreana, un’altra ancora c’ha un difetto di fabbrica…»

«È colpa mia se c’hai un fiuto speciale per le macchine di merda?»

«Va beh dai, basta. Quanto mi dai?» Leggi il resto dell’articolo

Il piccolo Michaux #3 – Editoriale

Il viaggio così come è andato veramente, almeno secondo Pier Paolo Di Mino.

Del resto non andare al Salone di Torino, con lo struscio in mezzo ai banchi, il chiacchiericcio da bar sport in salsa aulica, la festa di Minimum Fax, e tutte quelle strette di mano fra bella gente, è come non vedere il Festival di Sanremo: astrarsi dai piaceri delle vecchie casalinghe a cui non sono più rimasti nemmeno i rammarichi è un tirarsi fuori dalla mischia comunque pericoloso. E poi la bellezza non è mai gratuita, e, anzi, va estratta con fatica, magari trovandola nell’insolito. Leggi il resto dell’articolo

Videor ergo sum

Da giovane non mi sarei mai permesso, nel giudicare un’opera o una persona,
di cedere alla ripugnanza che essa mi suscitava senza alcuna ragione.
Oggi do più credito alle mie antipatie.
Jean Rostand
 
La bellezza delle cose esiste nella mente che contempla.
David Hume
 
La bellezza è negli occhi di colui che guarda.
Margaret Wolfe Hungerford
 
Ci sono cose graziose, eleganti, sontuose, avvenenti,
ma finché non parlano all’immaginazione non sono ancora belle.
Ralph Waldo Emerson
 
 

Se ci si fa caso, la «pulchritudo» di cui parla Baumgarten rimanda al concetto di «arte come principio dell’armonia universale» di Pitagora e alla “theia mania” – intesa poi come furor – di Platone. Il buon Orazio trovava che bisognasse «miscere utile et dulci» e che il brutto fosse nel – per usare una sola parola – caotico. Per Leonardo, invece, l’arte non imita, ma crea e condivide l’oraziano «delectando docere». Bisognerà aspettare Vico perché si cominci a distinguere il ruolo della fantasia (arte) da quello della ragione (filosofia), ma è soprattutto Schelling che – pervaso di Sehnsucht romantica – arriverà a parlare di «attività» unica nel suo genere e capace di calmare l’infinito conato umano mettendone in luce le intime contraddizioni.

Il Positivismo, infine, sia nella veste originaria ottocentesca che in quella riveduta e corretta novecentesca, darà all’arte solo una funzione ancillare: una posizione che precorre il «riflesso della situazione sociale» attribuitale dal Lukács, teorico dell’estetica marxista. Leggi il resto dell’articolo

L’ultimo testamento della Sacra Bibbia

L’ultimo testamento della Sacra Bibbia (Guanda, 2011)

di James Frey

È tornato James Frey.

Il controverso autore di Un milione di piccoli pezzi – che lasciò scandalizzati gli americani all’ Oprah Show, confermando le voci che volevano la sua biografia sui suoi primi vent’anni di droghe e disintossicazione come un libro molto “rimaneggiato”, diciamo “truccato” da qualche esagerazione qui e là – dopo aver colpito duro con Buongiorno Los Angeles (affresco corale della città degli angeli) torna con un nuovo best seller: L’ultimo testamento della Sacra Bibbia.

Un libro nato nella testa dell’autore nel 1994, che si concretizzò soltanto nel 2009.

Come nel precedente, sono molte le voci che in questo romanzo raccontano il loro punto di vista, la loro storia. Sono voci che ricordano gli evangelisti, ognuna con il proprio tono, la propria esperienza.

Ruth, Jeremiah, Adam, Mariaangeles, Alexis, Charles, di fatto sono la storia di Ben. Scrivono le righe dell’Ultimo Testamento del Messia, del Cristo Ritornato, che hanno incontrato e che ha cambiato loro la vita.

Un nuovo redentore affatto banale nella sua assoluta concretezza umana, nella sua nuova veste terrena, che ricalca l’uomo come è e come sarebbe vissuto da un’entità divina che si ritrovasse sulla nostra palla di fango. Leggi il resto dell’articolo

Centrattacco, sfonda mento.

Il dolore, se lo conosci, se t’ha già morso, impari a difendertene, a sentirlo sopraggiungere, il dolore, ne avverti il fetore. E se poi ti scorge, mannaggiallui, con l’occhio iniettato di sangue, ti punta; ti carica; viene per farti male, nuovamente, il dolore.

Virgilio è felice, quand’è ragazzino, si sente una gioia dentro quando vede il mare che gli viene da pensare meglio di me, nessuno, altro che Dante. Leggi il resto dell’articolo

La malattia

Quello che segue è il secondo racconto (qua il primo) ispirato ai disegni di Lucamaleonte e scritti appositamente per la serata di letture tenutasi al Laszlo Biro il 5 maggio.

La malattia

di Andrea Coffami e Angelo Zabaglio


La malattia non iniziò precisamente il giorno in cui le due matite vennero separate dal vignettista. Dopo aver lavorato il ragazzo barbuto era solito riporle entrambe nel portapenne di legno sopra la scrivania. Le due HB erano felici, si separavano solo quando l’artista disegnava ma entrambe erano coscienti del fatto che a fine giornata si sarebbero riunite. Sarebbero state vicine. Sicuramente più invecchiate e spuntate, ma unite. Erano certe che avrebbero terminato la loro esistenza una al fianco dell’altra. Si sarebbero date coraggio negli ultimi giorni di vita, quando le loro punte sarebbero state a pochi centimetri dal gommino. Non credevano alle dicerie delle loro simili. Alle frasi del tipo: Non affezionatevi. Morirete sole. Pensate a voi stesse e basta. Loro due erano diverse, si credevano speciali, si erano incontrate e sfiorate in quel portapenne di legno e quando c’è la chimica che unisce due anime mica ci si può far nulla. Piaceva ad entrambe fantasticare un futuro insieme. E quando una di loro tornava a casa distrutta, magari spuntata male, dolorante, con le schegge di legno smussate da una coltellino invece che da un temperino, l’altra era lì, pronta a rincuorare l’amante. Le giornate più piacevoli erano quando venivano adagiate completamente una sull’altra, quando l’intero bastoncino veniva a contatto con quello dell’altra. In quei giorni erano due corpi che si abbracciavano senza braccia. Erano quelle le giornate più belle. Ma erano rare.

Invece una notte al vignettista venne la malsana idea involontaria di terminare la bozza di un disegno e lasciare le due matite sopra una seconda scrivania, a pochi metri da quella che era solito utilizzare per lavoro. A pochi metri dal solito portapenne in legno.

Trascorsero settimane senza che le due matite potessero sfiorarsi. Certo, potevano vedersi – erano stese a pochi centimetri l’una dall’altra – ma probabilmente quei centimetri che li dividevano erano ancor più strazianti e dolorosi. Sarebbe stato meglio averle separate di netto, magari una nella stanza/studio e l’altra in salone. Sarebbe stato meno doloroso per entrambe. Leggi il resto dell’articolo