Estratto da un romanzo futuro – #TUS3

paccianiIn attesa del numero di Riot Van dedicato alle Letture terminali del reading Torino Una Sega 3, vi proponiamo il testo di Vanni Santoni (che ha letto anche da “Sixty Stories” di Donald Barthelme). Si tratta di un brano tratto da un futuro romanzo, ancora ben lontano dall’essere compiuto, dal titolo di lavorazione “I fratelli Michelangelo”.

«…drammi borghesi italiani? Meglio altro. Meglio il fantastico. Meglio ancora, una grande storia di soldati di leva che entrano per la prima volta in un campo di sterminio. Tipo Il grande uno rosso, solo che è tutto raccontato tramite i ricordi di uno di loro, un atto fondativo della sua visione e interpretazione del mondo prima che vada altrove a fare cose, a ottenere risultati, il che qualifica questa storia come ineludibilmente americana: immaginiamo un soldato italiano, al di là del fatto che un soldato italiano sarebbe stato a infilare la gente nei piombati per i lager, immaginiamo questo soldato italiano, l’Italia non si è mai alleata con la Germania, l’amicizia Churchill-Mussolini è florida, gioviale addirittura, e oggi, 27 gennaio 1945 – questo scenario implica anche una certa lentezza dei russi sul fronte orientale – la tua pattuglia, quattro giovani alpini a dorso di mulo – hanno senso gli alpini? Leggi il resto dell’articolo

Rintracciando alieni con metodi induttivi – #TUS3

rapimenti alieniTra gli autori che hanno partecipato al reading Torino Una Sega 3, tenutosi lo scorso ottobre al Caffè Notte di Firenze, c’è Frank Solitario. Frank ha letto Confessioni di un illuminato (di Leo Zagami) e il dialogo che proponiamo, Rintracciando alieni con metodi induttivi.

Breve nota introduttiva che non è parte della narrazione ma lo è.

Ci troviamo all’interno di un dipartimento di ricerca.
Un ipnologo ha fatto accomodare la sua paziente con presunta adduzione aliena e le ha sommariamente spiegato le tecniche che andrà ad usare per risalire ai dettagli del suo rapimento.
Si è stabilito un rapporto come da precetti ericksoniani: è il momento quindi di procedere con la fase di induzione ipnotica. Leggi il resto dell’articolo

Lucian – #TUS3

Orietta BertiGenti di tutta Italia, oggi presentiamo Lucian, il testo che Gregorio Magini ha letto al reading Torino Una Sega 3, insieme a Disturbi neurotipici negli psichiatri (di Anonima Pisana).

La vecchia è demente. Io ti lascio aperto, tu entri tranquillo fai quello che vuoi prendi quello che vuoi. Prendi i gioielli. Se chiede tu dici, sono Camillo, sono Marcello. Camillo è il figlio. Uomo triste. Marcello forse cugino, si è sparato. Poi vieni da me. Potremmo finire per sposarci.
L’ombra delle inferriate stirata sul letto. In mezzo, in cima, un fagotto di coperte; ne strisciavano, uguali a due radici grigie, le mani della vecchia. Sopra nel buio un succhiare di saliva, un’esalazione fetida e mugoli come chi annuisce al telefono.
Punti focali: cassettiera, due comodini, armadio e sotto il letto. Il ventre diceva, vai da Maria. La testa, prendi i gioielli e vattene. Tutti e due, stai attento alla vecchia. Nel villaggio dove era nato non c’erano vecchi. Niente vecchi, e niente chiese. C’era una stanza di legno con un biliardo, mosche e birre. C’era un unto sopra a tutte le cose, sopra le pannocchie e l’erba, e un autobus due volte al giorno, che sferragliava in direzione di Ploiești poco più veloce del cane zoppo che lo inseguiva.
Provò la torcia dentro la giacca. Decise l’ordine più efficiente: cassetti, armadio, sotto il letto, comodino lontano, comodino vicino. Il primo cassetto dall’alto vuoto. Secondo cassetto una lampadina e dei chiodi. Terzo cassetto fogli, elastici, buste trasparenti con pacchi di fogli, bollette, lettere, una scatoletta di velluto, dentro l’anello di un portachiavi. Secondo livello. Quarto cassetto, chiuso a chiave. Con il temperino al primo tentativo scattò. La spiaggia dove avevo visto il niente, seduto su quei sassi fatti di polvere, i licheni gialli che si nutrivano di sabbia, nel mio cuore la disperazione di quando il mare non va da nessuna parte e il mio cervello che sputava, diceva che cosa ti aspettavi.
Finché la barca va tu lasciala andare. Leggi il resto dell’articolo

Pentalogo estemporaneo sulla morte – #TUS3

Alessandro BariccoIn attesa del numero di Riot Van dedicato alle Letture terminali del reading Torino Una Sega 3, vi proponiamo il testo di Daniele Pasquini, che ha letto anche da Il giorno che diventammo umani di Paolo Zardi. Torino Una Sega 3: quel reading là che si è tenuto al Caffè Notte una sera di Ottobre, dove si leggeva dieci minuti a testa e ci stava un sacco di gente. E ora, buona lettura con “Pentalogo estemporaneo sulla morte – Ovvero come tentare di orientarsi nella vita riflettendo su storie (ed ipotesi) di decesso”.

Uno
Vi sono molti scrittori viventi, molti scrittori morti, molti scrittori morti suicidi, molti scrittori mezzo e mezzo, molti scrittori che sono vivi ma che non si vedono mai, neppure in occasioni come Torino Una Sega. Io vado spesso in fissa con gli americani, e mi interrogo più spesso di quanto sia decente fare su chi di loro sarebbe venuto qua, se solo ne avesse avuto l’opportunità. Mi convinco che uno come J. D. Salinger sarebbe venuto al Caffè Notte ma senza farsi riconoscere, e pure D. F. Wallace, anche se solo per un po’ e senza intrattenersi in chiacchiere. Bukowksi sarebbe stato troppo concio, mentre Hemingway e Kerouac si sarebbero divertiti come dei pazzi, avrebbero rimorchiato un sacco e poi sarebbero andati a fare casino di fronte a qualche bar. Non sarebbe mai venuto Carver, e neppure Yates. Sono possibilista su Fitzgerald e su Faulkner. Cormac McCarthy avrebbe fatto un trucinio assurdo aprendo il fuoco verso il bancone. Leggi il resto dell’articolo

Mai abbastanza lontano da me – #TUS3

Foto: Agn/Infophoto

Foto: Agn/Infophoto


Matteo Grimaldi è stato tra gli autori che hanno partecipato a reading Torino Una Sega 3, che si è tenuto l’11 ottobre al Caffè Notte. Proponiamo il suo testo Mai abbastanza lontano da me.

Ho deciso di partire quando l’unica certezza e avvertimento era quello di restare lontani dalle proprie case che, dopo aver cullato il sonno per anni, si erano improvvisamente trasformate in infami trappole mortali. L’ho fatto il nove aprile, mandando affanculo la terra che continuava a tremare ogni mezzo minuto e, se ogni mezzo minuto si annienta il respiro, muori un po’ di più. Ho mandato affanculo mia madre, che non la smetteva di urlare e io ero troppo provato per sopportarla ulteriormente, come quelle poche costruzioni all’apparenza rimaste integre, senza nemmeno una crepa, che poi basta un’altra scossa, anche di minore intensità, per farle cadere giù come un castello di carte abbattuto dalla zampa di un gatto, perché la crepa ce l’avevano dentro. Mia sorella, che urlava di più per farla tacere. Mio padre, che non muoveva un dito. Ho mandato affanculo quegli edifici incapaci di tenersi su. Chi li ha progettati e costruiti, prima ancora che alle fondamenta e alle colonne portanti e ai tramezzi e al tetto, ha disegnato la sequenza di azioni meno compromettenti per far finire nelle proprie tasche il maggior numero possibile di banconote di grosso taglio, sottraendo a una struttura che nessuno avrebbe notato carente, ma che poi la zampa di un gatto, pure cucciolo, si sarebbe dimostrata più che sufficiente a rivelarlo al mondo. Ho mandato affanculo la vita, perché tanta gente aveva il proprio sole da cui farsi riscaldare e, senza avvertimenti, si è ritrovata soffocata dal gelo della solitudine. Ho mandato affanculo me, per tutte le quattro ore di viaggio. Me, che acceleravo per raggiungere chissà quale illusione, mentre creavo e nutrivo chilometri nella convinzione che mi avrebbero fatto stare meglio. Leggi il resto dell’articolo

Sentieri di notte – #TUS3

-Per i testi del reading Torino Una Sega 3 spazio a Giovanni Agnoloni, che al Caffè Notte ha letto un brano da Non lasciar mai che ti vedano piangere, di Amir Valle (Edizioni Anordest) e un estratto dal suo romanzo Sentieri di notte.

Il magazzino era vuoto. Le pareti, che una volta dovevano essere state bianche, erano coperte da una patina grigiastra; il pavimento invece era di colore scuro, quasi nero. Il soffitto bucherellato lasciava indovinare ampi spazi, velati di ragnatele vecchie decenni. Se avessi avuto una chiara idea della parte della città in cui mi trovavo, forse avrei capito di quale edificio si trattava. Ma ero quasi certo di non avere mai visto niente del genere.
Mi accorsi che non si udivano suoni né rumori. Tutto era avvolto in un silenzio pneumatico. Non mi sentivo agitato, ma esposto. La mia pelle era come volata via, i miei nervi erano scoperti, le memorie del mio terzo occhio focalizzate su qualcosa che non riuscivo a identificare.
Improvvisamente mi resi conto che la mia luce-guida non pulsava più. Era scomparsa, dissolta nel silenzio, forse perché me ne accorgessi quando ormai era troppo tardi. Quando dovevo per forza procedere, e c’era un’unica direzione possibile.
Una porta, in fondo. Metallica, grigio-chiara.
Un ascensore. Leggi il resto dell’articolo

Il blasone immacolato del perpetuo arrossamento – #TUS3

la madonna sculaccia gesù bambinoPer l’appuntamento con i testi del reading Torino Una Sega 3 è il turno di Gabriele Merlini, che ha preso molto sul serio il tema della serata, ‘letture terminali’. Oltre al testo che proponiamo, Gabriele ha letto da L’orgia di Praga di Philip Roth.

Considerare il proprio lettore abituale – ammesso si possieda un lettore abituale: situazione non agevole dati i tempi – «il solo confidente che ci rimanga», è quantomeno sintomo di sensibilità e intimo desiderio di interscambio. Non complesso. Non biasimabile. Non raro. Più difficile mantenere simile posizione nei confronti dell’uditorio standard di un reading collettivo. Troppo chiasso. Troppo alcool. Troppo traffico. Troppi individui interessati ad altro.
Eppure, posto a conoscenza dell’esistenza di quella kermesse cittadina a tema letture terminali, subito apparve ovvio quanto tutti i problemi della mia vita sarebbero potuti scomparire davanti la specchiata onestà richiesta dalla performance. Da sempre infatti combatto una spietata battaglia con le letture e i termini. Curiosa genesi del limite, fino dalla prima consapevolezza di me riesco a leggere solo alla fine delle cose. Impegnarmi nei saggi, godere della prosa o fantasticare sui versi di una poesia unicamente a ridosso dei termini.
Mi spiego meglio.
Per motivi rapportabili alla necessità di ritrovare una maggiore stabilità emotiva, qualche tempo fa ebbi a percorrere migliaia di volte la tratta Pisa-Londra in aereo. Odio volare e trattasi di repulsione addirittura aumentata nel corso degli anni, in parallelo al costante rincoglionimento da depresso cronico che mi avvolge. Superfluo sottolineare quanto riuscissi a trovare la tranquillità necessaria per godermi una sana lettura giusto al termine del volo, o meglio a ridosso dell’atterraggio (che, per inteso, da tutti viene inquadrato come il momento più rischioso dell’intero spostamento.) Mentre si perde gradualmente velocità e quota impostando una discesa ad angolo costante che conduce il velivolo alla soglia della pista ed è un attimo spalmarsi come burro sbagliando manovra. Le mani mollano la posizione del pugno chiuso tipico di colui che sente la morte dal sapore di scoreggia a fiatare sul collo, e il cuore torna a battere più o meno normale. Il bianco delle nuvole trasfigura elegante nelle prime silhouette di strade e case e pensi ok, sei ancora sospeso però magari con qualche botta di fortuna cadendo potrai raccontarla ai nipoti. Ammesso qualcuno intenda ancora accoppiarsi con te per procreare. Leggi il resto dell’articolo

Il Ponte dei Cani Suicidi – #TUS3

Overtoun bridgeSul nostro blog il martedì è il giorno dedicato ai testi del reading Torino Una Sega 3. Presentiamo dunque il brano di Matteo Pascoletti (tratto dal prologo a un lavoro che, come dice lui, “se va bene uscirà postumo”). Oltre al Ponte dei Cani Suicidi Matteo ha letto un brano da Palace of The End (Neo. Edizioni) di Judith Thompson.

In Scozia, un giorno, un cane s’ammazzò.
Era il Ventesimo secolo, l’uomo considerava il suicidio una propria esclusiva: se anche gli animali erano capaci di gesti autodistruttivi, l’atto cosciente e ragionato era loro impossibile, così come il dilemma morale. Tuttavia queste nozioni non aiutavano a indagare la morte di quel cane: chi si avvicinava all’accaduto finiva per alimentare una nebbia di miti e teorie che si fece presto densa coltre; tra i vapori, l’uomo smanioso di verità riusciva comunque a scorgere alcuni fatti di rilievo.
Il cane si uccise nei pressi di Milton, distretto di Glasgow. Nelle verdi lande della zona si trovava Overtoun House, una villa campestre edificata nel Diciannovesimo secolo: architettura gotica, edera avvinta alle mura e rigogliosa vegetazione che si estendeva all’orizzonte. Overtoun House si raggiungeva passando per l’omonimo ponte, che sovrastava il fiume vicino alla villa nel punto in cui questo compiva balzi a cascata.
A uccidere il cane fu un volo di quindici metri dal ponte. Non fu l’unico esemplare a gettarsi, ma era difficile quantificare i casi e l’arco di tempo in cui avvennero i suicidi: all’inizio nessuno sentì il bisogno di statistiche ufficiali. Tra le dicerie più in voga, una contava duecento cani tra la fine degli anni Cinquanta e l’inizio del nuovo millenio. Quali fossero i numeri, il luogo divenne noto come Leggi il resto dell’articolo