Commiato

Ogni commiato è una sottile declinazione della rinascita: nel concretizzare una fine, già profuma di inizio. È solo per questo che non mi rattrista la fine del Manuale che ho intitolato alla perfezione dell’esser gasteropodo. Non infatti un percorso per espertizzare come strisciante, ma un’anatomia che rovisti nelle interiora di un gasteropodo “totale” e completo.
Perché il gasteropodo?

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La depressione

Si parla di crisi economica. Ma se diamo retta all’etimo, dovremmo parlare di una crisi delle regole della casa.
Dovremmo domandarci se le scelte prese a partire dagli anni ’70 siano state positive o negative e se siano state inevitabili o prese per scarsezza dei loro promotori. È saggio rispondere che, economicamente e psicologicamente, in parte sono dipese da un clima generale e in parte da scelte specifiche sbagliate. Leggi il resto dell’articolo

L’amore e la morte, più l’odio. E il potere /2

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Qui sarà utile raccontare un fatterello di cronaca. Abbiamo prima citato gli snuff movie. Il primo film snuff fu realizzato nel 1974 dai coniugi Michael e Roberta Findlay, ed era intitolato proprio Snuff. Nel film si voleva ricostruire in chiave pornografica la strage che la “famiglia” Manson operò a Bel Air e in cui perse la vita anche Sharon Tate, moglie di Roman Polanski. Findlay aveva già realizzato alcuni porno, disgustosi ed estremi, come Invasion of the blood Farmers e Shriek of the Mutilated; eppure i suoi primi film erano stati dei porno-soft. Da qui, con la moglie, si erano spinti fino all’hardcore, poi al sadomaso, poi al sadomaso estremo, fino ad arrivare allo snuff – cioè fino all’omicidio. La spirale era partita da una base piccola, con sesso abbastanza pacato, non abominevole; poi si era allargata al sesso efferato; quindi alla violenza; e la violenza era sempre più aumentata fino a diventare morte violentissima. Una spirale. Leggi il resto dell’articolo

L’amore e la morte, più l’odio. E il potere /1

Per Freud l’amore è istinto al piacere, per sua propria caratteristica si colloca all’esterno dell’individuo. La morte è autodistruzione, ossia compulsività: è quando l’atto perde l’impulso vitale che lo contraddistingue; per sua propria caratteristica tende a convogliarsi all’interno dell’individuo e se si convoglia all’esterno diviene pura violenza.

La relazione fra eros e thanatos l’avevano già intravista Empedocle e Flaubert, che col personaggio di Emma Bovary (che s’innamora dopo la morte del genitore, che in collegio prima fantastica sull’amore e poi quasi morbosamente sulla morte, interessanti le letture che Emma fa nel capitolo 52) la amplia fascinosamente. Ma non finisce qui. Leggi il resto dell’articolo

La noia /2

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Il filo si mantiene integro anche coi romantici. Bisogna, però, riconoscere ai romantici (e a tutti i loro eroi malaticci e instabili) e a Baudelaire in particolare, il merito di aver portato la noia a un livello realmente artistico. Per Baudelaire (che è il guru di questo salto di qualità) la noia non sarà più solo noia, ma si tramuterà nel terribile spleen. Cos’è lo spleen? È una malattia dell’evo moderno: uno stato di scoraggiamento, di noia e inerte umor nero che contagia i giovani borghesi. Baudelaire ha scritto quattro splendide poesie sullo spleen – per non parlare della poesia di apertura a I fiori del male che lui dedica Al lettore – e la noia è l’elemento costante del malessere del poeta (malessere tangibile nell’uggia in cui sguazzano quei versi), il quale non ha più niente per cui vivere in questo mondo di bruttezza e imperfezione. Leggi il resto dell’articolo

La noia /1

La noia ha dominato la storia del pensiero quasi quanto l’idea della vita, della morte, della giustizia, di Dio, del comunismo, dell’antisemitismo, dell’ateismo, delle geometrie non euclidee, dell’infinità dei mondi, del metodo socratico e via dicendo. È un argomento complicato per due ragioni fondamentali: innanzitutto per la difficoltà di stabilire cosa sia realmente la noia (è una condizione sociale, una predisposizione dell’animo o uno stato psicologico? O, ancora più difficile, dove finisce la noia e comincia la depressione patologica?) e in secondo luogo per la quantità di forme che la noia ha assunto nella storia.

Uno dei primi a parlarne – e quasi sicuramente uno dei più illustri – fu Lucrezio, nel I secolo avanti Cristo. Negli ultimi versi del terzo libro del De rerum natura parla di un particolare stato d’animo, d’un “taedium vitae” che arriva all’improvviso, di un senso d’insoddisfazione che coglie l’uomo che non sa rassegnarsi all’idea della morte. Dice Lucrezio di quest’uomo: «Esce spesso fuori dal grande palazzo colui che lo stare in casa ha tediato, e subito ritorna giacché sente che fuori non si sta per niente meglio». È un uomo inquieto quello lucreziano, perché non sa la vera natura delle cose; la noia di Lucrezio è il risultato del non conoscere le cause dell’infelicità umana, e l’infelicità arriva quando l’uomo non sa accettare con spirito epicureo (del quale Lucrezio era estimatore e divulgatore straordinario) la morte, inseguendo faticosamente e inutilmente la vita. È chiaro che un uomo così travagliato e privo di pace finisca col fuggire la sua natura mortale fuggendo automaticamente se stesso. Alla fine, tutto questo lo porta dritto dritto al taedium vitae di poco fa, cioè al peso di cui non conosce né la causa né il rimedio e che gli soffoca l’animo. È emblematico di questa condizione ante-pseudoromantica quello che Lucrezio dice poco dopo del suo prototipo di essere umano, il quale ritorna a casa e «sbadiglia immediatamente appena ha toccato la soglia della villa, o greve si sprofonda nel sonno e cerca l’oblio, o anche parte in fretta e furia per la città e torna a vederla. Così, ciascuno fugge se stesso, ma, a quel suo “io”, naturalmente, come accade, non potendo sfuggire, malvolentieri gli resta attaccato e lo odia, perché è malato e non comprende le cause del male». Leggi il resto dell’articolo

Una vita da romanzo

Nel 1889 la letteratura italiana attraversò una piccola crisi perché a distanza di pochi mesi l’uno dall’altro saranno pubblicati Mastro Don Gesualdo e Il piacere: da un lato si chiudeva il verismo naturalistico neopositivista e dall’altro si apriva il periodo del “poema moderno”, come ebbe a definirlo Angelo Conti.
Queste due scuole di pensiero e di scrittura si scontrarono essenzialmente sull’accidentato terreno della critica letteraria. Infatti, se Conti definì Il piacere un “poema moderno”, Luigi Capuana lo tacciò di scarsezza contenutistica (rileggersi Gli “ismi” contemporanei).
Per il critico siciliano il romanzo di d’Annunzio possedeva solo alcuni sprazzi di sostanza che, però, venivano soffocati da uno stile troppo elaborato e liricheggiante: esercitava la «malìa dell’artifìzio squisito». Per Conti, invece, si trattava dell’emanazione continua e prepotente dell’io dell’autore che permeava tutto il libro: era un genuino prodotto d’autore.
A dar retta a Conti, allora, si potrebbe perfino identificare ne Il piacere l’antesignano del post-modernismo, visto che del post-modernismo ha l’introspezione, le contraddizioni del personaggio e soprattutto l’illusorietà del fine: Il piacere è un libro fondamentalmente senza scopo, non ha – come direbbe Lyotard – una metanarrazione.

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Se Foscolo non fosse… /4

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Dei sepolcri e Le Grazie sono due componimenti speculari, in cui – come già detto – si ravvisano i medesimi stati d’animo del Foscolo-Ortis e del Foscolo-Didimo: per rendercene conto ci basterà analizzare per sommi capi le due sillogi poetiche.

Della prima sappiamo che nacque per caso, dopo una chiacchierata col Piedimonte (che stava progettando in quel periodo il poemetto Cimiteri) e la conoscenza dell’editto di Saint Cloud. In questo momento Foscolo è ancora combattivo: è disposto a polemizzare su vari temi (sull’editto stesso, sulla concezione cristiana della morte, sul suo gusto per immagini di disfacimento e morte), fa esempi, introduce simboli e scrive versi impetuosi come: «A egregie cose il forte animo accendono l’urne dei forti». Insomma, più che un poeta è un regista: appronta scena per scena la sfilata dei carmi. Leggi il resto dell’articolo