Con calma, senza fretta

di Pierluca D’Antuono

E per la quarta volta entrano nel condominio, grazie a qualche frescone che gli apre […] Pensavo, dopo non aver più visto da tempo i Testimoni di Geova […] che fosse finito il fenomeno del porta a porta e invece ecco che arrivano loro. Delle quattro volte, due stavo perfino dormendo. […] Non essendo un anziano o una donna non ho avuto timore ad aprire. Poi però è successo il finimondo. Ho urlato loro tutta la mia rabbia per questo disturbo ILLEGALE […] li ho cacciati ricoprendoli d’insulti e minacce […] Ora preparo un piccolo cartello da mettere vicino al campanello con su scritto «se mi suoni perché vuoi vendermi qualcosa, sappi che prima apro la porta e poi te.» […] Sarebbe ora di smetterla perché una donna o degli anziani, di questi tempi, si spaventano!
La fastidiosa invadenza di Lotta Comunista (Utente Amen, 20-09-12)

Avrei fatto qualsiasi cosa pur di militare con loro, negli anni in cui li incrociavo ogni giorno lungo i viali fioriti dell’Università, davanti alle fontanelle bulicanti – le casematte strategiche della loro avanzata egemonica – prese d’assalto a ogni ora del giorno e della notte, le pesanti mazzette di giornali sotto braccio, vestiti di un sobrio ed elegante nero coordinato, rigorosamente in giacca, cravatta, e austeri girocolli a V – perché è nella storia del movimento operaio che i proletari facciano politica ben vestiti. Se nelle circostanze di quelli agganci schivati con fastidio confondevo spesso – con supponenza – la loro dedizione per invadenza, oggi, a distanza di anni, mi appare chiaro per quel che era: un umile senso di classe e di appartenenza – o di appartenenza di classe. Il loro coraggio e la loro indipendenza, la barra dritta opposta con calma, senza fretta ad ogni rifiuto scortese, quell’indomita perseveranza e la febbrile fede profusa, tutto rimandava a una dimensione comunitaria forte e intensa che, sebbene bramassi, ripudiavo con ostentazione nella mia accidia indievidualistica.

La conferma della loro identità mi venne dalla vista di uno dei loro volantini con la foto di Marx e la scritta (alquanto ambiziosa) “Corsi di Marxismo”. […] Attendevo che uno dei loro “esponenti” mi si avvicinasse per propormi di Leggi il resto dell’articolo

Il mestiere del postino

di Simone Lisi

Il mestiere del postino ha un santo protettore: Carlo Bukoswki. I postini si muovono in motorino, coi loro motorini vecchi mezzi scassati che ogni tanto si fermano. Allora si nascondono nei bar o negli androni, dove è fresco. I postini si muovono per la città, l’attraversano, consapevoli o semiconsapevoli che la città gli appartiene, che le strade si aprono a loro, che le scorciatoie, gli incroci, che i lavori al manto stradale, i locali nuovi e quelli che chiudono, si dispiegano a loro, sono come un libro. Poi suonano i campanelli e la gente è scostante, annoiata, ha caldo, ha freddo, è stanca, non lavora, e soprattutto non ha voglia di firmare raccomandate. Oppure non ha nessuna delle cose di prima e ha una enorme voglia di firmare per tutti, anche per i condomini assenti, così da poterli dopo intercettare, scambiare due chiacchiere: l’amministratore di condominio come una promessa di felicità. Io in ufficio attendo i postini e lavoro la loro posta. Postalizzo, che è un verbo inesistente fino a due mesi fa, anche al Devoto Oli. Postalizzo dalle nove alle tre, poi attendo i postini, telefono ai postini se ci sono emergenze, oppure ricevo telefonate dai postini se i loro motorini si sono fermati e le cose si complicano. Io non potrò fare quasi nulla, per loro, ma loro lo sanno che, se io potessi, farei qualunque cosa. I postini sono per me come Leggi il resto dell’articolo

Parigi à passages – Passage du Marché

di Simone Olla

Gli uomini amano il ritorno dell’uguale,
soprattutto quando evoca e rinnova il ricordo di ore appagate.
Ernst Jünger

[E per Lui l’ultimo ricordo si chiama Titine, una santa poesia prostituita: l’unico teatro che guardammo assieme, quell’unica volta che rimanemmo soli.
Nel libretto che ci consegnarono all’ingresso c’è una dedica che recita così: Amica, leggilo e poi vattene. Amore, leggilo e poi continua.]

E mi sorprendo a parlarvi al passato come se avessi davvero deciso di raccogliermi dentro una ritualità indefinita e infinita.
Vieni qui, mi diceva, vieni qui che vicini con la finestra aperta fa più caldo e se chiamano da sotto il tuo nome – il mio nome – se chiamano di sotto il tuo nome, se dal Passage spingono per salire le scale ed entrare dentro di te a consolar mancanze, tu non rispondere, Titine, non questa volta, almeno.
E invece, anche fra le sue braccia, anche col caldo che sentivo ancora, se dal Passage chiamavano Titine, Titine rispondeva da sdraiata com’era, come sempre aveva fatto, tanto lui aveva detto vieni qui, e a Titine bastava. Alors? Rispondeva urlante Titine che si sentisse di sotto. E indossata una veste leggera, alla finestra del Passage, pretendeva pazienza per le richieste del prossimo venuto.
Io, Titine Gassion, rivendicavo intimità per il mio amore sdraiato.
Devi rivestirti – gli dicevo.
Vieni qui – mi rispondeva.

Che funzione avrebbe avuto la bambina che entra in scena nel finale ce l’eravamo detti in quel ristorante indiano il giorno prima della sua partenza, durante una cena a notte inoltrata, dopo l’ultimo amore silenzioso nella sua casa in Faubourg St. Martin: quella bambina e quel testo che prendeva forma senza note di regia avrebbero arredato le rispettive vite lontane, un pensiero Leggi il resto dell’articolo

That’s (im)possible, Cristò!

Cristò Chiapparino
That’s (im)possible
Caratteri Mobili 2013
pp. 80, euro 8,00

That’s (im)possible, mi ripeto mentre leggo l’ultimo libro di Cristò Chiapparino, edito lo scorso 2013 da Caratteri Mobili.
È impossibile concepire un testo del genere, classificarlo secondo una delle solite e stranote categorie che la critica letteraria adora affibbiare alle scritture contemporanee: non è un vero e proprio romanzo, dacché praticamente non c’è un vero sviluppo della trama nè un consistente approfondimento dei personaggi; non è una raccolta di frammenti, perché nonostante la spezzatura martellante dei paragrafi lo stile essenziale tiene bene insieme, e si svela alla fine essere un corpo solido, unitario e quasi trascendente; certamente non si tratta di poesia sperimentale, sebbene l’esperimento mi sembra essere la chiave di lettura imprescindibile per comprendere lo spirito ultimo dell’intera operazione.
La vicenda è presto raccontata: c’è una lotteria a premi, la più grande lotteria a premi che sia mai Leggi il resto dell’articolo

Il diario sentimentale di Eva Schwarz

di Domenico Caringella

27 gennaio

Caro il mio diario,

come avevo anticipato ieri dopo aver descritto lo sguardo di Jurgen e quello che mi ha detto davanti a tutti (secondo me stiamo insieme, Andrea dice di no, ma io sono sicura), oggi è il Giorno della Memoria. Me lo sono ricordato senza leggere però. Ah ah! Comunque anche oggi Jurgen mi ha guardato tanto. Ma quant’è bello? E quanto è biondo? Il giorno in cui la Kirchener ha tenuto la lezione sui Nibelunghi ho pensato a lui, i suoi capelli come grano e gli occhi dello stesso colore del lago in Austria dell’estate scorsa. Ma l’Austria non farebbe prima a Leggi il resto dell’articolo

La reunion

005beatlessgtpepper1967xw9di Paolo Clarà

Mi chiamo John e sono la voce dei Beatles.
Il ragazzo che abita qui, di nome fa Paul, come il nostro bassista. Passa la maggior parte del tempo a leggere con le gambe distese su un divano a L vicino alla finestra e ascolta musica rock. Ha una collezione infinita di dischi e, tra questi, c’è anche la copertina di cui faccio parte. Il mio mondo è racchiuso nello spazio quadrato che condivido con il resto della band e moltissime altre persone. In primo piano, c’è la grancassa della Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band. Io e gli altri musicisti siamo vestiti come soldati dell’Esercito della Salvezza, armati di ottoni per risollevare gli animi a forza di colpi sonori. Leggi il resto dell’articolo

Fuori

di Domenico Caringella

“Non ho incontrato gente, ma solo fari accesi”
(Davide Bernasconi)

L’ho riconosciuta da lontano, in mezzo ad altre dieci, venti, e più, la luce che apparteneva a lui, solo a lui, e che lo stava guidando nel buio fino al punto in cui mi trovavo io. Aveva quello strano modo di esitare e poi ondeggiare verso sinistra, come se tremasse.
Ho avuto altro tempo per Leggi il resto dell’articolo

Ludopatici

di Simone Lisi

08.00 pm

Al bar di via Macci, angolo via Ghibellina, non c’è nessuno: son le otto di sera, voglio dire. La gente alle otto non dovrebbe essere da Giuliano. La gente per bene, ma anche quelli marci, alle otto saranno altrove perché qui non è possibile.
C’è la televisione accesa sul primo. Mi chiedo se, quando a minuti inizierà il Tg nazionale, Giuliano cambierà canale, spostando su qualcosa di più consono. E invece no, Giuliano non cambia canale. Ascoltiamo le notizie assieme, non commentiamo. Tutto torna.

Ecco, entra un avventore, è un habitué, lo si capisce dal modo di interagire con lui. Le notizie del telegiornale vengono seguite da Giuliano, dall’habitué e da me. I due commentano a voce alta mentre io, appuntando questa nota, li osservo e commento, perdendo le loro perle di saggezza: sono talmente belle, come le cose vere che non si possono né trascrivere né riprodurre, così mi perdo nel riportarle. Bevo una birra. Domani si vota, dicono al Tg. Domani si vota e si abbassano le temperature Leggi il resto dell’articolo