Storia nera

di Pierluca D’Antuono

Mi prende da dietro all’improvviso con un colpo violentissimo e non respiro più. Ho paura. Sento il suo respiro caldo sul mio collo gelido e un brivido come una lama mi squarcia di lungo la schiena. Per terra, in ginocchio, mi tiene per i capelli con le sue dita nere e tozze e al ritmo di stantuffi spezzati sotto scarponi chiodati mi sbatte la testa sui binari marci e arrugginiti. I denti esplodono in frantumi, ingoio brani di lingua lacerata e vomito in una pozza oscura di sangue. Mentre allenta la sua morsa slacciandosi i pantaloni, tento di voltarmi per guardarlo, ma il fruscio della cinta che scivola tra i passanti tuona nella mia testa come un’unghia su una lastra e allora ride di piacere e in un colpo con lo stivale mi spacca il naso che esplode (non era difficile) e mi strappa i pantaloni; chiudo gli occhi e aspetto
(respira!)
all’improvviso non accade più niente. Davanti a me sento bambini gridare e una voce morbida e infantile chiamare il mio nome dolcemente. Una carezza mi ravviva i capelli insanguinati e mi culla con amore, non piango più e le ferite si rimarginano, ma dietro di me sento ancora il suo sorriso che incombe, i denti d’oro brillare e il tanfo spaventoso delle sue mani sporche e oscure pronte a ricominciare. Ma è nella mia testa, apro gli occhi per vedere e lui non c’è.
Allora capisco.
Ci sono solo due bambini, sono i figli dello zingaro che ieri sera Mattia ha pestato a Piazza Vittorio. Era sicuro che lo avessero scippato. Mentre lo prendeva a calci ho detto a una signora di chiamare l’ambulanza, e prima che arrivasse ce ne siamo andati.
(respira!)
Zoppicando, si avvicinano incerti e di nuovo sento l’odore del padre. Mi guardano sorridenti e allora mi rendo conto di essere nuda. Ho paura, ma penso che non possono farmi del male perché sono due bambini e hanno al massimo quattro o cinque anni.
Mentre lo penso si spogliano e si avvicinano sempre di più, mi spingono per terra e cominciano a toccarmi mugolando con furore. Le loro mani scivolano violentemente sul mio corpo, sono a testa in giù come prima, non riesco a urlare impietrita dallo stupore, non possono perché sono due bambini, e mentre uno dei due mi si para davanti per tapparmi la bocca, l’altro si toglie la protesi di plastica che ha al posto del braccio e mi allarga le gambe con forza, brandendo l’arto con eccitazione.
(respira!)
Un colpo solo, violentissimo, dentro di me
è finita
Quando sento la voce di Mattia che mi urla: respira! apro gli occhi e mi risveglio nel mio letto, al suo fianco.
Sono le sette, devo andare a scuola.

Oggi torno al Kant per la prima volta dopo dieci anni. Maurizio mi ha incaricata di coordinare il Blocco per le prossime elezioni di istituto, che quest’anno, quasi certamente, vinceremo noi. È incredibile quello che è successo negli ultimi cinque anni nel mio vecchio liceo: l’unione degli studenti non esiste più e anche quei coglioni dei giovani comunisti sono praticamente scomparsi. Se penso che quando mi sono diplomata in tutto l’istituto eravamo in sei mi viene da piangere.
Appena sono entrata un’onda di nausea e terrore mi ha sommersa e per un attimo ho temuto di dover vomitare, quando ho attraversato il cortile affianco alla palestra.
Mi è sembrato di vedermi proprio lì, sotto i portici, a fumare da sola come un’appestata dopo il solito litigio durante la lezione di storia, ogni volta che quello stronzo di Garinei mi chiedeva se preferivo uscire perché avrebbe dovuto spiegare la resistenza.
Nel corridoio ho rivissuto la stessa orribile sensazione che provavo ogni mattina, passando sotto le grandi porte ad arco di legno e vetro, che allora mi sembravano ghigliottine affilate pronte a squartarmi, ma l’esecuzione veniva sempre rimandata perché chiunque nella scuola avrebbe voluto essere il mio carnefice, e ogni volta litigavano per ore su chi avrebbe dovuto avere l’onore, immobilizzandomi in un divenire d’ansia senza fine né avvenire.
Vicino ai bagni mi si è fermato il cuore.
Ogni ragazzo che usciva mi ricordava di lui e ho ritrovato il vortice di pena e ridicolezza che per cinque anni mi fu d’albergo. Allora ho ammesso quello che sapevo da quando Maurizio mi ha chiesto di tornare qui, il motivo per cui non dormo più e ho degli incubi spaventosi: ho paura del fantasma di Ciriaco, la vergogna più grande dei miei anni peggiori. Per cinque anni ho creduto di amarlo nonostante, da rappresentante d’istituto, avesse scatenato, con il consenso della preside e dei professori, la più infame pulizia etnica mai vissuta sulla mia pelle, che ci isolò completamente da ogni attività scolastica, sotto i sacri sigilli dell’antifascismo militante. Una crudeltà insensata e gratuita per cui ancora oggi alcuni dei nostri, i più deboli, quelli che non avevano abbastanza forza d’animo ed erano stati bocciati o si erano ritirati da scuola, ne pagano le conseguenze.
Per me fu una manna dal cielo: capii definitivamente di non essere una di loro, e ammisi senza remore di essere quel che da sempre sono, probabilmente con molti nemici, ma di sicuro con molto onore.
Ai ragazzi non va giù questa storia del coordinamento, non ne sapevano niente e mi hanno mandata via. Hanno fatto tutto da soli e sono stati bravissimi, non accetteranno mai il mio aiuto. Sono sicura che Maurizio lo ha fatto volutamente, so che mi ha dato questo incarico per punizione.
Per la faccenda della lettera della scorsa settimana.
Vado via prima di mezzogiorno, sono troppo stanca e non mi reggo in piedi, ho paura di addormentarmi.

Via Cavour è in fiamme. Un oceano di nostre bandiere nere mi sommerge mentre i lacrimogeni esplodono e si confondono con il fumo delle automobili che bruciano attorno a me. Un diluvio di sampietrini piove su di me squarciandomi la testa, dalle orecchie perdo materia cerebrale che mi scivola nella bocca, ma non fa male e ha un buon sapore di giovinezza al potere. Sono sola davanti alla basilica, mi guardo attorno ma non vedo gli altri e non ricordo come sono finita qui. È notte fonda, la manifestazione è imponente, il corteo incede immenso verso San Martino ai Monti distruggendo ogni cosa con violenza, sono a pochi passi quando all’improvviso mi circondano e si slacciano le cinghie brandendole contro di me. I primi che vedo sono Maurizio e Glauco ma a colpirmi è Ciriaco, tento di scappare ma è più veloce di me e quando mi raggiunge mi colpisce ancora, ora ha il volto di Mattia che mi guarda con rabbia e dice

«[…] Con il coraggio e l’ardore di sempre, suggellammo con eroismo e onore una idea che da sempre e per sempre val bene una “strage” o presunta tale. Abbiamo sempre osato coraggiosamente e non ci siamo mai vergognati né pentiti, anche quando, specchiandoci nel riflesso vorticoso del sangue della nostra gente, la nostra comunità, una rabbia cieca e fiera animava il nostro spirito ribelle, guerriero e vendicativo. […]
E a chi dei nostri figli, nell’incertezza del margine che occupiamo, dovesse chiederne timoroso la spiegazione, noi risponderemo, come un sol uomo, per un’unica ragione, la nostra idea: libertà e rivoluzione! »
Il vostro Colonnello.
Glauco non fa in tempo a finire di leggere che un applauso fragoroso rimbomba nella stanza delle assemblee del lunedì sera, rallegrando i tanti camerati accorsi più numerosi del solito, nonostante la tarda ora e il freddo, eccitati dalla lettera che il vecchio colonnello ha inviato per accettare l’invito all’incontro sugli anni di piombo. Qualcuno ha addirittura sentito dire che presto potrebbe trasferirsi lì da loro nella sede storica dell’Esquilino.
Sarebbe splendido! L’ esplosione di gioia lentamente si esaurisce, Maurizio sta per chiedere se ci sono domande, quando a un certo punto dalle prime file qualcuno si alza per prendere la parola. È la ragazza di Mattia.
«Cos’è sta merda?» sibila fissando minacciosamente Glauco.
Glauco sorride incrociando lo sguardo di Maurizio, mentre dalla stanza il brusio iniziale si trasforma in plateale contestazione.
«Che cazzo hai detto? Come ti permetti, stronza!»
«Vaffanculo Glauco, mi dici cosa cazzo c’entra questa merda con noi?»
«Con te niente, lo sanno tutti che non sei fascista!» dice Glauco soddisfatto girandosi verso Maurizio che scoppia a ridere, mentre i ragazzi in sala formano un capannello attorno a Linda, che sembra non accorgersi della loro pressione, finché non vede tra gli altri anche Mattia, fino a un attimo prima lì al suo fianco.
«Testa di cazzo!» Linda tenta di scagliarsi contro Glauco che appena vede gli occhi della ragazza colore del sangue non ride più, impaurito.
«Ora basta, stai esagerando!» La voce cupa di Maurizio impone in un attimo il silenzio in tutta la stanza.
«Sai chi è il colonnello, vero?»
«È un ambiguo. Un vecchio stragista infiltrato. Ti basta?»
«Lo sai che verrà a vivere qui tra pochi mesi? E a quel punto che farai, andrai via tu?»
«Io non…»
«Stai zitta Linda, adesso mi ascolti. Le cose che stai dicendo sono molto gravi, anche tu hai il dovere di raccontare e tramandare l’intera nostra storia in maniera non conforme e liberamente. Per questo abbiamo organizzato l’incontro della prossima settimana, e insieme alla Mambro e a Fioravanti ci sarà anche il colonnello, a cui devi il massimo rispetto!»
«Ma che c’entrano Mambro e Fioravanti con il colonnello? Loro sono innocenti, quante volte lo hai detto tu stesso pubblicamente!»
Una risata forte e liberatoria esplode nella stanza e ora tutti guardano Linda che per la prima volta sembra a disagio e vorrebbe scomparire. Ride anche Glauco, che fissa la ragazza con disprezzo, e non ha più timore del suo sguardo.
«Sei proprio ingenua Linda! Ci sei o ci fai?»

«Mi dici che cazzo ti ha preso oggi?» Mattia è arrabbiato e non mi guarda mentre tento di parcheggiare, dietro San Martino ai Monti. Sto cercando le parole adatte per spiegarmi, ma a un certo punto una sensazione di inutilità si impadronisce di me: sa benissimo cosa volevo dire. Sono anni che lo ripeto.
«Credevo che fossi d’accordo con me» gli dico senza guardarlo.
«Non puoi dire davanti a tutti ogni stronzata che ti passa per la testa, Maurizio e Glauco sono incazzati neri, sai cosa significa?»
«Che mi ammazzano a cinghiate?»
«Non scherzare! Ascolta…»
Ora non lo sento più, ho solo voglia di dormire. Appena arriviamo davanti alla Tana delle Tigri, esce dalla macchina senza salutarmi e corre verso Glauco e Maurizio. Stasera c’è il concerto degli ZetaZeroAlfa, il primo brano è Cinghiamattanza, per questo possono entrare solo loro, ma non m’importa, voglio solo dormire, domani devo svegliarmi presto per andare al Kant. E poi c’è la nostra manifestazione, non posso mancare.

Mentre vado mi telefona Mattia. Maurizio ha detto che posso entrare. Il concerto sta per cominciare. Dice di fare in fretta, mi aspettano tutti, con ansia…
Torno indietro di corsa. Sono felice. La mia gente mi ama e io per loro farei ogni cosa.
E poi non posso perdermi la mia canzone preferita.

6 Responses to Storia nera

  1. pierluca says:

    grazie per l’ospitalità, camerati!

  2. scrittoriprecari says:

    in effetti oggi è da stare in camera 😀
    s.

  3. pierluca says:

    si scherza eh, volevo proprio scrivere incamerati!

  4. scrittoriprecari says:

    Chi conosce la nostra storia sa che preferiamo il pigiama alla divisa 😉
    s.

  5. pierluca says:

    decisamente più comodo e molto poco choosy!

  6. Pingback: Ricette #3: Ziti alla Luccone | La Nuova Verdə

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