A Firenze ci sta bella gente – #TUS3

Antefatto

– Subcomandante Liguori, forse dovresti scrivere un post per commentare Torino Una Sega 3, no?
– Fallo tu, Matteo, mi fido ciecamente.
– Non hai tempo?
– Esatto.

Fine Antefatto

A Firenze, venerdì, c’è stata la terza edizione di Torino Una Sega, “serata di letture a voce alta”. Per me è stata la seconda edizione, ma non prendiamoci in giro: è un dato trascurabile, lo so io e lo sapete voi, quindi passiamo oltre.

Vedere centinaia di persone che affollano tre sale in due locali, e sostano nell’incrocio su cui si affacciano quei locali, o stipano le sale e ascoltano attenti, benché alticci o ubriachi, ti fa capire due cose. La prima è che a Firenze, tutto sommato, l’alcool costa poco. La seconda, ben più importante, è che la letteratura è un fatto sociale, e quando si organizzano gli eventi con questo spirito il successo viene di conseguenza: si sta insieme perché è il mezzo migliore per condividere un interesse, e nel modo scelto di stare insieme eleviamo quell’interesse, e noi con lui. Leggi il resto dell’articolo

Diario di bordo – k.Lit, festival dei blog letterari

Diario di bordo – Bolzano

Da Roma a Bolzano è come cambiare mondo: c’è un varco preciso, tra Modena e Carpi, dove il sole scompare nella nebbia, e la temperatura si abbassa d’improvviso. Esci dall’auto e senti che qualcosa è cambiato – forse è lo spazio che procede per accumulo, e si manifesta tutto insieme: dalla sveglia delle 6 alla Stazione Tiburtina, che è diventata tutto vetro e acciaio nell’alba, al treno semivuoto che mi porta a Spoleto, attraverso i campi ricoperti di brina dell’alto Lazio e dell’Umbria. Scendo e sento d’aver cambiato tempo, lontano dalla nevrosi cittadina: i quaranta minuti di attesa a cui mi costringe il Liguori non mi pesano, perché ogni cosa appare più lenta. A Foligno persino ci perdiamo, finché non troviamo la strada che buca l’Appennino toscoemiliano (un paesaggio in cui mi perderò al ritorno, senza la mannaia del tempo) e avanziamo tra le parole nostre (sempre la solita letteratura, questo mondo contro cui ci ostiniamo a rimbalzare) e quelle della radio (è l’ora dei discorsi al Senato, e il giorno dopo saranno alla Camera: l’ora in cui capire se c’è qualcosa di nuovo dopo lo spettacolo che ci ha fagocitati per anni). Leggi il resto dell’articolo

Diario di bordo – Colle Val d’Elsa

Rieccoci nuovamente. Come anticipato ieri, per questo lunedì interrompiamo la rubrica Poesia precaria per dar spazio al Diario di bordo di Scrittori precari.

Buona lettura.

Gianluca Liguori


Scoppio ancora di emozioni colorate ed accoglienza immersa nella natura. Avrei voluto vedere lo spettacolo ma ero sul palco.

Andrea Coffami


Secondo Google mappe Colle Val d’Elsa è raggiungibile velocemente da Montevarchi tramite una strada alternativa, che risparmierebbe il passaggio per la superstrada e per Siena tagliando attraverso il Chianti. Stampo la cartina e parto. Un’ora e mezza più tardi, perduto tra Radda e Castellina in un incubo di tornanti, medito il suicidio.

Raggiungo infine Colle in clamoroso ritardo e vengo recuperato dal Chimenti in una bizzarra piazza postmoderna. Il regista mi conduce attraverso misteriosi cunicoli nel ventre della collina fino a un ascensore fantascientifico; inizio a pensare che Colle Val d’Elsa è un posto davvero molto strano. E molto bello: per qualche motivo, dal Valdarno immaginiamo sempre i paesi del senese come brutti, forse per la fosca fama di Poggibonsi, e irrimediabilmente questi si rivelano infinitamente più belli dei nostri.

Attraversiamo questa Loro Ciuffenna monumentale finché scorgo le sagome note, inconfondibili nella postura e nei gesti, degli Scrittori Precari, professionisti della pausa cicchino. Chimenti e Montagnani mi lanciano in prova generale (più tardi Chimenti avrà modo anche di lanciarmi letteralmente) senza spiegazioni, ma dalla luce che brilla negli occhi dei Precari, e dalle luci vere, sparate con sapienza sul palco, capisco che la faccenda funzionerà.

A prove concluse scendiamo nel Foyer per rimetterci in sesto a caffè e whisky; benché mi tocchi bere un terrifico blended, il buonumore tiene. Inizia a trasformarsi in tensione quando realizziamo che sta effettivamente arrivando gente, e che anzi il teatro dei Varii sarà pieno.

Neanche il tempo per tremare, e siamo già in scena; avendo i registi studiato per me un ruolo da “finto spettatore”, pronto a entrare in scena dalla platea, posso godermi lo spettacolo dalla prima fila. E funziona, lo spettacolo, non solo nel documentare il collettivo Scrittori Precari e la sua attività letteraria, ma anche nel cogliere, grazie all’incrocio tra materiale filmato e lettura dal vivo, i tratti salienti di ciascuno, e così abbiamo uno Zabaglio tanto spassoso quanto amaro, laziale più che romano, che in controluce carica macchinette del caffè e auspica segreti piani di rivolta; un Piccolino corporale e romantico, imbianchino pratoliniano, che estrae poesie dal secchio della calcina, un Liguori dolente, quasi un personaggio di de Amicis, nel suo farsi carico con dignità di tutte le ingiustizie del mondo, un Ghelli felino, solo apparentemente mite, Bianciardi reincarnato, e salvato, forse, dall’aver scelto Roma invece di Milano. E li troviamo tutti insieme, a imbarazzarmi con la lettura di un mio brano, e poi sagome nere, di nuovo inconfondibili, mentre la regia gli spara addosso un filmato torcibudella. C’è tempo poi anche per i miei cinque minuti di gloria, con una lettura dal prossimo romanzo, ma gli applausi sono certamente, e giustamente, tutti per loro.

Vanni Santoni


Andare in scena non è stato facile: due giorni di prove, pochi mezzi tecnici e un budget ridicolo sono ciò che abbiamo a disposizione. Quando le luci si abbassano ci accorgiamo però che il teatro è pieno. Un senso di incredulità che raddoppia la tensione. Alla fine gli applausi, la voglia del pubblico di non andare subito a casa, di parlare di quanto hanno appena visto e sentito. Questo volevamo: prolungare la messa in scena attraverso il lavoro cognitivo dello spettatore.

Leggendo i giornali, guardando i telegiornali, comunemente parlando, siamo allo stesso tempo vittime e propugnatori di un inarrestabile impoverimento del senso comune. Un impoverimento che passa attraverso il linguaggio, cavalcando parole-marionetta – “precario”, “straniero”, “extracomunitario”- che ci annebbiano la vista sul mondo per farne una terra straniera.

Ci muoviamo da tempo in un orizzonte comunicativo verbo-visivo che basa la sua efficacia sulla devalorizzazione e sulla desemantizzazione dell’esperienza, come sull’anestetizzazione del comune sentire: per ridare un corpo semantico all’immaginario non resta allora che rivendicare l’extraterritorialità della “scrittura di scena” e la sua capacità di comporre l’eterogeneità delle deposizioni e delle registrazioni, di attraversare le terre ed incrociare gli sguardi. Ma per riuscirci è necessario sapere esattamente cosa raccontare e come farlo.

Quello che noi, assieme a Scrittori Precari e Vanni Santoni, volevamo raccontare è il paese Italia, il paese che muore, il paese che dello spettacolo ha fatto la realtà perché la realtà potesse sembrare uno spettacolo. E per farlo abbiamo usato ogni mezzo a nostra disposizione: il documentario e la performance, la luce e la musica, il videoclip e la pagina scritta.

Adesso bisogna rilanciare la posta in gioco, portare lo spettacolo in giro, sino a dove possiamo arrivare.

Dimitri Chimenti e Andrea Montagnani


LIVE THE WRITING – omaggio breve a Trauma Cronico e ai pigiami singolari

“Prima ci facciamo un’idea, poi semmai…”, così dicendo il pubblico entra in sala e si siede in platea dopo aver ispezionato di fretta libriccini cd e volumi riposti in bella vista sul tavolo all’ingresso.

Piccolo gingillo questo teatro dei Varii, i cui fronzoli ottocenteschi cozzano meravigliosamente con l’apparato scenico vuoto dei Precari, creando una strana attesa incerta e diffidente.

A terra i cavi sembrano serpenti dormienti in attesa di venire scossi e manipolati dalla fonazione.

Nessuno sa. Si può solo immaginare a scatola chiusa cosa mancherà, essendo solo un reading. Cosa non si vedrà, visto che è solo un reading. Quanti tempi si dovranno aspettare in tossicchio nervoso a causa di virgole e punti e fogli da girare. “E’ solo un reading!”

Scorrendo, le immagini per qualche minuto restano schiacciate sul fondo. Innocue. Distanti. Finché lo spirito si fa carne e qualcuno esce dallo schermo, invadendo lo spazio che prende a riempirsi. Sotto l’occhio di bue sale la voce e lo scrittore s’allontana dal precario. Lo vedi perchè si premura di centrare la carta e se stesso sotto l’occhio di luce, finendo, senza volerlo, col dare preminenza al foglio. Deformazione professionale.

Lasciando cadere le pagine a terra sembra sospeso su una nuvola bianco sporco e finisce per fondersi con le immagini in un gioco serrato di dentro e fuori, casa e palco, voi e noi. Noi. 4+1 moschettieri immobili, illuminati psichedelicamente dalle luci che, ora, sparano su un pubblico calato e assorto. In attesa di altro.

Lo sguardo che dopo un’ora e mezza davanti al tavolo all’ingresso ripassa in rassegna a mente fresca le copertine dei libri, ha un’altra coscienza.

“E’ solo un reading… forse”.

Donatella Livigni


La prima volta degli Scrittori precari in un teatro.

Una prima volta che emoziona ma intriga fin da subito.

Le tavole di legno sotto ai piedi. Un’acustica particolare e a noi nuova. Le luci puntate su di noi che non riusciamo a vedere il pubblico davanti a noi. Strano.

Da quando abbiamo iniziato l’avventura di Scrittori Precari abbiamo avuto col pubblico un rapporto quasi simbiotico. Ed ora siamo soli, in una bolla di luce che non svela i volti in platea.

E’ l’applauso che accompagna la nostra uscita di scena a sollevarci. Man mano che ci alterniamo ci rendiamo conto che questa nuova dimensione non ci è poi tanto estranea.

Lo spettacolo dura un’ora e quaranta ma vola via come se niente fosse. E noi, nonostante tutto ancora leggeri, ci rendiamo conto che avremmo persino voglia di rifarlo daccapo.

Luca Piccolino


Erano anni che non tornavo a Colle: anni ingoiati dalla vita metropolitana, dove il tempo scorre ad alta velocità. Una volta amavo fuggire dalla bolla d’aria che è la vita di provincia, oggi sento a tratti la necessità di ritornarvi, come per un principio di liberazione e rigenerazione, per disintossicarmi dai miasmi della vita di città.

Ad attenderci, dunque, non soltanto il tempo sospeso della provincia protetta da mura medievali, ma anche il tempo pieno del teatro, che per la prima volta abbiamo sperimentato venerdì. Tutto per merito di due folli chiamati Dimitri Chimenti e Andrea Montagnani, che prima hanno passato tre giorni a girare per Roma dietro a questi quattro ceffi rabberciati che siamo noi; che poi hanno fatto le ore piccole per due settimane a montare quelle immagini; e che infine si sono rinchiusi nel Teatro dei Varii, dove li abbiamo trovati al nostro arrivo, per concludere la regia di questa incredibile video performance. Che adesso tocca lavorare per esportarla in giro, perché lo spettacolo funziona, anche se nato in condizioni d’emergenza, o forse soprattutto per quello, perché c’era e c’è l’urgenza di farlo.

Simone Ghelli

Trauma cronico – Appunti

Sono in ritardo mostruoso, in genere il pezzo per Trauma cronico sono solito scriverlo almeno un paio di giorni prima della domenica, lo carico sul blog e programmo la sua pubblicazione per la mezzanotte e un minuto. Questa volta no. Questa volta avevo buttato giù qualche appunto, delle riflessioni sull’omicidio di Brenda, sulla storiaccia della querela a Tabucchi da parte del presidente del Senato (colpirne uno per educarli tutti), oppure dell’inquietante caso Cosentino, avrei voluto parlare di queste cose e concludere con la bella notizia della decisione del giudice a sospendere l’ordinanza di sfratto a Frigolandia di cui vi ho parlato già qui e qui.

E invece sono nella mia stanza, mezzanotte passata da un po’, Zabaglio è appena andato via, era venuto un paio d’ore fa, dopo avermi telefonato per uscire ma io ero troppo stanco. Abbiamo mangiato un piatto di pasta col pomodoro e chiacchierato di tante cose. Abbiamo letto insieme il pezzo di Alex del primo tentativo di racconto collettivo che stiamo sperimentando noi precari, e poi il pezzo, fantastico, del Diario di bordo di Colle Val d’Elsa di Vanni Santoni. Già, perché con Scrittori precari non ci fermiamo mai. Venerdì scorso siamo stati all’università di Siena, in una splendida giornata letteraria in cui prima Wu Ming ha presentato Altai (di cui vi invito a leggere il resoconto qui) e poi Rovelli ha presentato Servi.

Nemmeno una settimana dopo, giovedì, eravamo a Colle Val d’Elsa. L’appuntamento con i ragazzi era per l’una e mezzo a casa mia, dove avremmo dovuto mangiare la frittata di maccheroni di Zabaglio e poi partire. La frittata fatta da Zabaglio era qualcosa di immangiabile, insipida, gommosa, insapore, dopo il primo morso ho desistito, eppure io non sono di quelli schizzinosi, mangio quasi tutto. Ma la frittata di Zabaglio era qualcosa di indescrivibile. Lo stesso Piccolino non è riuscito a buttarne giù più di due bocconi. Zabaglio non sa bere, non sa mangiare e non sa cucinare; lo amiamo anche per questo. Lo abbiamo preso in giro per l’intero viaggio, sgranocchiando risate incontenibili.

Siamo arrivati a Colle che era già buio, abbiamo parcheggiato e passeggiato fino a che non ci ha raggiunto Francesca, che ci ha scortato dapprima a depositare gli zaini, prendere un caffè rigenerante e una mezz’ora di relax a Villa Francesca, dove eravamo ospiti, e poi di lì al Teatro dei Varii dove ci aspettavano i registi, gli straordinari Dimitri Chimenti e Andrea Montagnani. Quindi prove. Una pizza e del vino in teatro. Ancora prove. Poi tutti a Villa Francesca, dove.

Premo il tasto ffww – scorre la nottata insieme a Luca ed Angelo (Simone, arrivati a casa, si è messo nel fodero, ha letto qualche pagina di un libro, poi è crollato) e la notte, quindi eccoci al venerdì mattina. Si è trascorsa la mattinata tra la casa e il giardino, in completa rilassatezza e buon umore, poi si è andato a mangiare un paio di panini a qualche chilometro di distanza, quindi di nuovo a casa fino alla chiamata del Chimenti che ci dava appuntamento per le cinque e mezzo in teatro, dove si è fatta un’altra prova, e poi mentre si fumava sigarette fuori è arrivato pure Vanni. Rituale di baci, abbracci, sorrisi, poi via con la prova generale. Quindi ancora un’altra pizza, la birra, le sigarette, il caffè, il whisky, ed il teatro che si riempiva e s’era fatta l’ora.

Lo spettacolo si chiama proprio Trauma cronico. Appunti per un film in terra straniera. Quando Dimitri mi ha chiesto l’autorizzazione ad utilizzare per lo spettacolo il nome di questa rubrica, mi sono sentito molto orgoglioso di me stesso.

La performance è volata. Siamo andati alla grande, tutti bravi. I registi, due pazzi. Vanni è stato eccellente, come suo solito. Non vedo l’ora di leggere il suo prossimo romanzo.

Una serata eccezionale. Siamo partiti per il verso giusto in un’altra nuova magnifica avventura. Certo c’è ancora tanto da crescere e da lavorare, ma sono certo che se ne vedranno ancora delle belle. I lavori, d’altronde, non finiscono mai.

Vi saluto tutti, abbracciandovi, invitandovi a ritornare domani, lunedì, per il Diario di bordo della carovana errante di Scrittori precari con piacevolissimi contributi esterni, ma non vi dico altro. L’appuntamento è a domani.

Buona domenica

Gianluca Liguori

La fine del viaggio

Il viaggio del gruppo è finito. E anche il mio seguirli, fisicamente e non, in questo tour.
Quando ci siamo lasciati a Milano, dove ci siamo poi ritrovati ad un tavolo per il compleanno della fotografa fantastica, io sono rimasto lombardo per vari giri e appuntamenti.
In uno di questi mi sono ritrovato in un hotel di lusso con Dita Von Teese e lo chef/guru Cracco. Il mio pensiero dove è andato!? Ai Precari: contattati immediatamente con sms per sapere dove erano e farci quattro risate sulle rispettive situazioni certamente dicotomiche.
Come è stato il tour? Bello e difficile. Per l’esperienza e per la gente che ci ha seguito, per il senso di comunione e per le risate.
Una cosa ho visto e vissuto, e ne parlavo con il mio più grande amico: alla gente, a volte, non gliene frega una cazzo di quello che gli accade attorno. Per loro basta avere la faccia sul proprio drink e parlare di quella dell’ufficio o di cosa ha detto il capo, mentre nella sala dove si trovano c’è musica, anima e sudore.  Le persone si stanno estraniando e la loro precarietà emotiva è la nostra forza, perché almeno noi cerchiamo di ricordare qualcosa, di essere qualcuno, di vivere quello che si scrive piuttosto che tenerselo nel cassetto.
Bello o brutto, lasciamolo dire a chi ci ascolta per davvero.
A quelli che hanno preso contatti, che hanno parlato con noi per confrontarsi e che ci hanno dato una pacca sulla spalla dicendo “Bel coraggio avete”.
Precariato coraggioso, è questo il nostro motto quello di Luca, Angelo, Gianluca e Simone. E la stima che ho è grande.
V’abbraccio a tutti. Ma tutti.

Alex Pietrogiacomi

I precari al rientro

E’ stata impegnativa, per certi aspetti faticosa, ma l’esperienza del tour con Scrittori precari rimarrà come una tra le più forti e piene della mia vita. Condividere ogni singolo minuto per cinque giorni con quelle stesse persone (non solo le letture, ma i chilometri percorsi, il cibo e le bevande, i giacigli dove dormire, le battute e le scaramucce) che da mesi portano avanti un progetto comune, è una cosa che lascia il segno.
Questi cinque giorni hanno rappresentato una sorta di sospensione del tempo, in cui gli unici momenti da non mancare erano quelli del reading e della stesura dei diari quotidiani; il resto (mangiare, bere, dormire, etc) non aveva scadenze, il resto non era obbligatorio, non riempiva i vuoti come succede spesso con la quotidianità.
Abbiamo attraversato le regioni da sud a nord, siamo precipitati come oggetti misteriosi nelle città (Napoli, Firenze, Bologna, Milano) e approdati come visitatori sperduti nelle campagne e nei boschi, ma in qualche modo ci siamo sempre sentiti a casa.
Il tempo del viaggio si è momentaneamente arrestato, ma già abbiamo altre proposte per il futuro, e questa è la dimostrazione della validità di un progetto in cui la precarietà viene intesa in senso trasversale, come condizione generazionale e come modalità performativa, poiché piuttosto che uniformarci intorno a un manifesto stilistico abbiamo preferito ritrovarci in un approccio che mirasse ad aprire spazi liminali alla scrittura, dove far prendere corpo a tutto il lavoro virtuale svolto quotidianamente in rete.
La precarietà intesa quindi non soltanto come mancanza di progettualità, ma anche come senso di disorientamento: l’essere scrittori oltre la pagina scritta, l’inventarsi performer in spazi sempre diversi e non programmati; in parole povere ritrovare lo scrittore e il proprio ruolo in una terra sempre straniera.

Simone Ghelli

Diario di bordo – Frigolandia

Siamo partiti dalla Casa del Cuculo con un po’ di ritardo. Dovevamo scrivere i pezzi per il Diario di bordo, il povero Simone, stanco com’era e con le mille cose da fare che aveva, per non parlare del suo malditesta, è stato gentile e contento di contribuire al nostro resoconto che ha accompagnato questi ridenti giorni in giro per l’Italia a leggere le nostre cose e far conoscere il nostro progetto. È bella questa cosa che facciamo, oramai me lo hanno detto in così tanti che fatico a non crederci.

Leggo in giro con la mia band, Scrittori precari.

Oggi è stata l’ultima data del nostro tour. Siamo stati a Frigolandia, dal buon vecchio Vincenzo Sparagna. Ogni volta che vado a trovarlo è sempre una gioia immensa, è sempre uno scoprire, imparare, conoscere nuove cose. Vincenzo è una di quelle persone che potresti stare una vita ad ascoltarlo senza annoiarti mai. Sparagna è un monumento della cultura nazionale, ma che dico nazionale, internazionale, anzi no, interplanetaria.

Abbiamo fatto una lettura molto intima, seduti ad un tavolo, tra amici, una quindicina di persone. Sono stati ottimi momenti. Forti emozioni. Quando ho letto non ho mai alzato la testa dal foglio, oramai ho imparato a guardarlo, il pubblico, cercare sguardi, ascolto, occhi e attenzione, ma oggi no. Oggi mi sentivo così piccolo. Eppure è andata bene. Vincenzo ha apprezzato e speso belle parole, ha fatto un sacco di domande, si è mostrato interessato. È stato molto importante per me.

Abbiamo parlato di tante cose, ma non posso certo mettermi qui a dirvele tutte, non ci sarebbe spazio per gli altri. Chiudiamo qui.

Ad un certo punto della serata, parlando con una ragazza che mi chiedeva consigli per una sua amica che aveva appena finito un romanzo, mentre le rispondevo dicendo che è importante curare tanti particolari trascurati, Vincenzo è intervenuto dicendomi di aver detto una cosa saggia. La mia saggia gioventù. È proprio tardi. Le cinque del mattino anche oggi.

Si è stati a Frigolandia fino a mezzanotte passata, poi si è partiti. È finita. È stata un’avventura straordinaria, un’esperienza forte e meravigliosa.

Durante questo tour ho anche cambiato il tabacco, sono passato dal Golden Virginia al Pueblo, era così per dire.

Buonanotte a tutti e a presto.

Gianluca Liguori

Mi sveglio a fatica, per la prima volta ultimo.

La Casa del Cuculo ci saluta con l’omaggio di giuggiole color ruggine appese ai rami. Siamo in ritardo, ma non possiamo rinunciare a una piadina romagnola per strada.

La E45 ci accompagna tra gli spuntoni rocciosi dell’Appennino, fino al cancello di Frigolandia, dove i cani di Sparagna ci vengono incontro festanti. La casa di Vincenzo è un’esplosione d’immagini e colori, d’invenzioni che si calano dal soffitto come sogni che sbocciano ad occhi aperti. Leggiamo attorno alla tavola, in un silenzio religioso e blasfemo che sa di vino.

Siamo arrivati fin qui, non sembra vero. Domani ci attende il mondo di tutti i giorni, le piccole battaglie che siamo ormai abituati a perdere, ma domani è ancora lontano su questi colli cullati dal latrare dei cani…

Simone Ghelli

Questa notte dormo benissimo nel frickettonismo della Casa del Cuculo, sciallato in terra come meglio non si potrebbe. Russo in maniera esponenziale ma al mattino la gente crede che sia stato il Liguori ed io mi sto zitto. Colazione con yogurt fatto in casa, marmallata fatta in casa, torta fatta in casa, caffè fatto in casa nel quale metto dello zucchero fatto in casa con un cucchiaino fatto in casa, su un tavolo fatto in casa e mi siedo su una sedia fatta in casa proprio fuori la casa fatta in casa. Mentre mangio c’è un cane che vomita ma non ci faccio caso più di tanto. L’umore è ancora un po’ in down anche se la visione di un bimbo che pesta le merda di campo tentando di camminare mi fa sorridere molto. Mi arriva una telefonata inaspettata con una notizia inaspettata che inaspettatamente mi rigenera parecchio l’umore ma è l’ora di partire. Si salutano i ragazzi della casa con abbracci e bacioni. Nella via del ritorno mettiamo sotto il bianconiglio che ci ha tenuto compagnia la sera prima e dopo una brevissima sosta per una piadina ed un crescione si parte per Frigolandia (la piadina me la ricordavo più mordida una volta, ma la vita è dura). In auto il Ghelli dice che Frigolandia è vicino a Fornolandia e mi fa ridere. Poi arriva la Pinchi e dopo un pò di vino e quattro chiacchere si anizia l’anomala lettura informale attorno ad un grande tavolo. Oggi è sciallo, oggi è lettura senza palchi e senza microfoni, oggi lettori ed ascoltatori si miscelano e si confondono. Barbara Pinchi mi piace sempre quando legge anche se questa volta non si è levata le scarpe come fa di solito. Poi si cena con un minestrone di riso da paura che manco Ratatooile avrebbe saputo fare così buono e dopo altro vino ed altre chiacchere il gruppo si avvia verso Roma. Il tour è finito, le emozioni sono state parecchie, potrei commuovermi nel ricordarle, quindi le cancellerò tutte. 🙂

Si ritorna ai tram ed i motori della Prenestina, si ritorna al caos stupendo di sotto casa, si ritorna al lavoro per pagare l’affitto… ma dopotutto, si ritorna pure al letto da una piazza e mezza dove fare l’amore. Quindi vediamo di tornare al più presto. Passo e chiudo.

Andrea Coffami

L’immaginario a cui è legato il nome di Vincenzo Sparagna mi è familiare e non nego di aver provato sincera emozione nel conoscerlo.

Giano dell’Umbria. Repubblica di Frigolandia.

Vincenzo è in cucina. Sta preparando una minestra con riso, cipolle e patate.

Sarà per il luogo, incastonato tra verdi monti. Sarà perché è l’ultima data del nostro tour e le tensioni sono state ormai scaricate. Fatto sta che ci sentiamo distesi, affatto preoccupati.

Parliamo a lungo con Sparagna di un po’ di cose.

Qualcuno intanto arriva. Poche persone. Alcuni amici.

All’interno del museo dell’Arte Maivista, circondati dalle tavole di Andrea Pazienza, Tanino Liberatore, Filippo Scozzari, iniziamo la nostra lettura.

Siamo tutti intorno a un grande tavolo. Insieme a noi precari c’è la poetessa Barbara Pinchi.

Qualcosa di intimo. Senza sforzi di voce. Scrittori precari in versione unplugged.

Finisce intorno a un altro tavolo, quello della cucina. Tutti insieme a mangiare la minestra di Vincenzo che è una vera delizia.

Poi il ritorno verso Roma.

Radio 1 trasmette un programma niente male. Ci sintonizziamo sulle note di Tomorrow dei CCCP, la canzone successiva sta nell’album Daydream Nation dei Sonic Youth ma non ricordo il titolo.

Tra le note si perdono gli ultimi minuti di un tour che, tirando le somme, è stato un successo.

Per la prima volta scrivo il Diario di bordo dal mio studio. Domattina lo spedirò al sub-comandante Liguori.

Non è la stessa cosa.

Esser qui da solo è, per forza di cose, meno divertente.

Ma piuttosto che farmi attanagliare dalla malinconia, preferisco stringere al petto tutti i momenti memorabili che abbiamo vissuto pensando che ne vivremo ancora.

So che ci crediamo tutti. So che in ottobre saremo a Benevento. So che saremo a Torino e forse anche a Monza. E poi a Roma, almeno una volta al mese.

No. Solo il tour è finito, il resto è all’inizio. Il mio romanzo ormai terminato. La mia nuova opera di poesia anch’essa bell’e pronta. I nuovi romanzi del Ghelli e di Liguori. I racconti in olio di oliva di Zabaglio. Un libro da scrivere tutti insieme. Ne avremo di cose da fare, visto che in tutto questo ci sarà da barcamenarsi pure col lavoro.

La Romagna, come le colline umbre, mi hanno riportato prepotentemente al progetto più importante che ho. Quello di andarmene per sempre da una città che ormai mi appare sporca, volgare, insipida, inquinata, maleducata e prepotente. Tornare ai luoghi a cui appartiene il mio sangue. Ai monti Aurunci, dove poter dare importanza a ciò che è veramente importante.

Non ora però. Adesso voglio quello che è nato in quasi un anno di Scrittori precari.

Il desiderio di continuare quest’avventura fa puzzare meno il fumo delle marmitte, dando persino un sapore a questa città stuprata.

E non mi sento così idiota a considerare “lo scrivere” come una priorità e non come un passatempo.

Il precariato ha anche questo aspetto. A pensarci bene un lavoro fisso non me lo saprei tenere.

Luca Piccolino