La società dello spettacaaargh! – 20
ottobre 31, 2011 2 commenti
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Caro Jacopo,
trovo difficile parlare di Nessun Paradiso. È un libro che ho apprezzato, ma con cui fatico a entrare in risonanza. C’è un dinamismo efficacissimo nel suo stile che distrugge e rigenera continuamente sul piano linguistico le idee, come se volesse impedire alle parole di farsi idolo (così come hai rilevato tu nella settimana scorsa), o anche mostrando come esse facilmente diventino un idolo, prendendo il sopravvento sulle cose o sui pensieri da cui si originano; oppure come esse, da idoli che esistono sedimentati nella memoria, generino false percezioni.1 Parole che diventano immagini delle cose, e che nello Spettacolo si impongono come cose: nella narrazione Enrico, e forse questo è uno dei principali meriti che scorgo nel romanzo, dà forma a una frase di Debord che altrimenti, di per sé, potrebbe sembrare un assioma appagante per l’intelletto, «il vero è un momento del falso», un falso che è fin troppo facile assimilare sul piano cognitivo:
Leopardi era l’unico in Italia in grado di tradurre Aristotele e aveva tredici anni. Pasolini era l’unico a dire in faccia ai democristiani che erano fascisti, e s’è accorto trent’anni prima cosa c’avrebbe fatto la tivì. Cosa saremmo diventati. E perderemo anche noi, ché non siamo Pasolini e non siamo Leopardi. E ci diranno che eravamo impotenti e sfigati: saremo degli abominii, eppure non possiamo fare altro che proseguire il Pensiero, che tentare di tramandarlo a qualche altro sfigato, che verrà dopo di noi. È il nostro ruolo. È il nostro dovere.
E allora lei mi dice: – E tu? Tu dove sei stato, finora?
Io ci penso un po’, solo un po’ e poi glielo dico: – Sai? Non sono sicuro che Leopardi a tredici anni traducesse Aristotele. So soltanto che era l’unico in Italia a conoscere il greco e l’imparò da solo e lo chiamarono a Milano ch’era un bambino, anche se poi non c’andò, ché a lui non gliene fregava un cazzo, d’andare a Milano.
Un rivoluzionario, altro che pippaiolo. Leggi il resto dell’articolo
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