Il verbo immigrare
gennaio 7, 2014 Lascia un commento
Kwa Ibo si trova nella zona del delta del Niger, un territorio devastato dalla Shell, dall’Eni e da altri colossi petroliferi stranieri. Da Kwa Ibo, Bashir decide di partire per l’Italia, non solo per la povertà cui è costretta la sua popolazione, ma anche per la curiosità intellettuale che nei secoli ha sempre animato gli umani: la migrazione di Bashir non è così tanto diversa dal desiderio di conquista di Alessandro Magno, dai viaggi di Marco Polo, dalle rotte di Cristoforo Colombo e dal giro del mondo di Magellano.
Il ragazzo sceglie l’Italia perché, tra i paesi europei, è lontana ma non eccessivamente, non è troppo ricca da essere inaccessibile, ma nemmeno tanto povera da rendere inutile il viaggio.
Bashir non è ancora disperato: può progettare il suo viaggio e regolarizzarsi secondo le leggi italiane prima di partire. Impara i rudimenti della lingua e studia l’iter con il quale non essere clandestino. Scopre che, per entrare nel paese, ha bisogno di un lavoro: ma com’è possibile avere un lavoro senza un incontro, un colloquio, un contatto?
Bashir non demorde: scopre che può entrare in Italia con un visto turistico, per un massimo di tre mesi, durante i quali si farà conoscere e, con un po’ di fortuna, troverà anche il lavoro che gli serve.
Ma per ottenere il visto turistico non basta voler partire: Bashir si dovrà recare al consolato generale di Lagos, quasi al confine con il Togo, a più di settecento chilometri da casa sua. Una volta arrivato, dovrà pagare 165 euro per la domanda di visto turistico per l’Italia e dimostrare di aver prenotato il viaggio, l’albergo e di avere i necessari mezzi di sostentamento, nel suo caso, 2’716,68 euro. Moltissimi, per un aspirante emigrante. Cui si aggiunge, secondo le indicazioni del Ministero degli Esteri Leggi il resto dell’articolo
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