La stanza dei nichilisti

di Andrea Frau

Giuliano Ferrara indossa dei boxer rossi con grossi pois bianco pus.
Se ne sta disteso a pancia in su, sopra un letto con le lenzuola bianche immacolate.
Il materasso a liquido amniotico è comodissimo, sembra di stare su una nuvola di fumo di sigaro.
Decine e decine di feti abortiti e risorti scendono dal cielo usando cordoni ombelicali come eliche.
I feti planano e atterrano dolcemente sulla sua grande pancia candida. Ferrara e i feti si abbracciano e rotolano nel letto tra le lenzuola. Ridono sereni, in pace.

Ferrara si sente solleticare la faccia e avverte dei dolori alla pancia come se qualcuno dall’aspetto anacronistico gli stesse punzecchiando la pancia con un bastone.
Oscar Giannino è chino su di lui, le due barbe si toccano. Giannino cerca di svegliarlo con colpetti di bastone sulla pancia.
Ferrara si sveglia.
“Il distacco della placenta, no!”
Giannino lo bastona sul sedere mordicchiando una carota.
Ferrara smette di urlare e frignare.
“Grazie Oscar, brusco ritorno alla realtà. Il mio sogno era totalizzante come l’Unione Sovietica; il tuo bastone, come i fatti d’Ungheria, mi ha ridestato dal sogno.”
“Mah”, risponde Giannino, “al massimo il mio bastone ti ha distolto dal sogno comunista come l’apertura dell’archivio Mitrokin. Tu non sai sognare. Il tuoi sono sogni fasulli, chiudi gli occhi ed è come se scrivessi una storia. Ti vuoi convincere siano sogni solo per sentirti più umano. È come se Freud avesse partecipato alla sceneggiatura di Inception.” Leggi il resto dell’articolo

Diario di bordo – Milano

Arrivo a Milano la sera prima, ovviamente ci fermiamo 2 minuti alla stazione di Bologna e mando un sms agli altri.
Penso al casino che stanno combinando e a come è andato il reading.
Il giorno dopo la prima cosa che faccio (dopo aver visto la foto di Ghelli a Firenze, cosa che ormai turberà le mie notti già insonni di loro) è chiamarli e maledirli bonariamente (?).
Chiamo Piccolino e ci mettiamo subito a ridere. Quaranta chilometri, più o meno e sono a Milano.
Sono contento. Tra un po’ il gruppo si riforma. La band è di nuovo insieme.
E’ tutto il giorno che risistemo i miei scritti, li leggo, li posiziono sul tavolo, sul divano. Ho la strizza. Per me Milano vuol dire troppe cose: è passato, presente e futuro che si fondono insieme. E’ un Maelstrom emozionale capace di prosciugarmi le mani dal sangue.
Arrivano. Ci diamo appuntamento al Duomo. A Milano è Fashion Week, si aggirano donne e uomini belli belli belli in modo assurdo. Arrivano loro e si vede che non facciamo parte della categoria di cui sopra.
Abbracci, baci e foto. Dentro la metropolitana direzione Frida.
Il Frida è sotto assedio di una troupe che sta girando una sit-com, c’è Daniele. Abbraccio il mostriciattolo che conosco da parecchi anni, perché quando ho vissuto a Milano e gestivo la sicurezza del teatro lui era un mio collega, che poi si è buttato nel mondo della musica e del teatro. Ed è giovane e gli voglio bene. Daniele è la voce dei FLUIDO e stasera saranno i nostri musicisti.
Poi arriva Maddalena, ma prima puntata alla GS dove Zabaglio ingolla/fagocita/sorbisce due Philadelphia, e sono baci grossi e col botto. Ci ha dato una mano e chi può ringraziarla mai abbastanza!
A me comincia a salire la tensione. Stasera verrà il mio mentore e migliore amico, Gipeto. Un attore straordinario, un uomo incredibile. Ci sarà anche la Mela a cui griderò “Cani e padroni di cani”. Parlando con gli altri mi rendo conto che siamo tutti agitati. Si parte dopo un po’, si parte alle 20 passate: ci sono marziani, cuochi, nani e ballerine. Al Frida ci vengono per bere. Noi teniamo botta. La sfida è quella. Tocca a me dopo l’ospite e ho le gambe di cemento e le avrò fino alla fine.
Tutto fila liscio. Ci alterniamo con Zabaglio che spacca, Piccolino che mi dedica poesie da microdotati, lui che si porta la condanna nel cognome e Liguori che impazzisce ed inizia a leggere anche le istruzioni per l’uso del mixer.
La nottata continua tra saluti ad una fan che ci segue, ad amici come Ibba ed Edo di Edizioni Verdenero e un arrivederci a Milano. Poi tutti a festeggiare la più bella fotografa d’Italia.
Torno a letto e penso a quanto voglio bene a questi quattro sciammannati.
Parecchio.
Ci si rivede a Roma.

Alex Pietrogiacomi

La prima volta a Milano: palazzi belli, ordinati, ma se non fosse per i tram non saprei cosa fotografare. Per fortuna oggi sappiamo già dove lasciare le nostre cose, e forse risparmieremo un poco i piedi. La cugina di Andrea ci accoglie nella sua casa pittata di fresco, ma abbiamo giusto il tempo sufficiente a sistemarci e poi di nuovo fuori, proprio su uno di quei tram da poco fotografati.

Ritroviamo Alex davanti al Duomo, che mi sembra un’imponente creazione di cera colata e solidificata, o forse è la versione sacra della casa di marzapane, ma la visione dura il tempo di uno scatto, ché siamo subito rigurgitati dalla metro di Milano, che profuma e non puzza come quella di Roma.

Al Frida una troupe cinematografica sta smontando le proprie attrezzature, nel mezzo alle quali sembreremmo come il cacio sui maccheroni, se non fosse che per fortuna stanotte abbiamo avuto il tempo di docciarci.

Iniziamo a leggere nel via vai di zebedei, come direbbe lo Zabaglio, e invece è solo la gente venuta a fare l’aperitivo, e il casino è tanto nonostante il microfono, ma noi andiamo avanti come trattori nonostante il locale che si svuota e il mio stomaco che vorrebbe riempirsi, ma a riempirsi sono invece le tasche dove scivolano monete sonanti, perché la gente rimasta si avvicina al banchetto a fare acquisti, e noi a gongolare che anche domani forse arriviamo a destinazione. Quanto al mio stomaco, sollazzato dall’idea di una cotoletta alla milanese, deve invece accontentarsi di un pollo al curry dall’indiano. Ma va bene così, e speriamo che il domani ci porti una bella piadina romagnola…

Simone Ghelli

Il Frida è un bel posto. Grande e accogliente.

Un discreto numero di persone ci segue attenta. Negli altri innumerevoli angoli del locale si consuma un aperitivo abbastanza chiassoso.

Con noi ci sono i FLUIDO che suonano all’inizio, in mezzo e alla fine del nostro reading.

Sono uno dei primi a leggere e durante l’ultima sessione musicale, esco a saziare un irrefrenabile desiderio di nicotina.

Un tipo con un mojito nella mano destra e la calata meneghina mi fa: “Ma questi qua non hanno finito di rompere i coglioni?”

Sorrido: “Madonna! Son dovuto uscire, non ce la facevo più. Non scopano e si sfogano con questa pippa!”

Il milanese è affabile: “Sei di Roma eh?”

Annuisco.

“Voi romani mi fate morir dal ridere…”

Vagli a spiegare che a me i romani e Roma fanno ormai ridere sempre meno.

Lo saluto e rientro.

Luca Piccolino

Nell’auto verso Milano ascoltiamo De Andrè, io e Ghelli pensiamo sia sopravvalutato. Lo riascolto e la penso ancora così, mi dispiace per i puristi. All’autogrill facciamo colazione ed assaggio una pallina fritta di Luca che sa di cetriolino ma mi dicono che è un peperone, boh, a me sembrava un cetriolino. Arrivati a Milano la nebbia non ci fa vedere nulla, zero, solo bianco davanti agli occhi, bianco che ci avvolge e rende impossibile avanzare. Investiamo un chierichetto di dodici anni ma ce ne freghiamo ed andiamo avanti lasciandogli 50 centesimi come risarcimento danni. L’auto di Gianluca tasta la strada e a tentoni arriviamo davanti l’Esselunga di mac mahon dove abita mia cugina. Parcheggiamo al reparto carni fresche che è l’unico posto libero. Saliamo su da mia cuginella bella che le voglio un gran bene e lasciamo zaini, scatoloni ed un pò di stanchezza, la riprenderemo il giorno dopo magari, oppure la lasceremo nel freezer sperando che muoia di congelamento. Arriviamo al locale dove leggeremo e scopriamo che stanno girando un film. Nel cesso del locale parlo con due attrezzisti e mi dicono che stanno girando un porno (me ne ero accorto già, visto che durante i ciak le banane della scenografia diminuivano sempre più). Il cinema sloggia ed il gruppo dei Fluido apre la serata, noi si legge tra le gente che aperitiva e parla e la gente che aperitiva e segue. E’ il caos, ma la nebbia copre il tutto, copre anche le voci ed allora leggo immaginando che ci siano Patrck Sweizt e Mike Buongiorno che mi ascoltino. Dietro di loro Sandra Mondaini e Raimondo Vianello che si abbracciano forte e si danno coraggio per il tristo momento che li unirà in eterno. Ad un certo punto Sandra stira inaspettatamente e Raimondo per il dolore si buca di eutanasia. Poi il tutto termina e noi si mangia un riso indiano ottimo al sapor di Pandoro mentre l’anima di Patrick Sweitz entra mascherata da Mike Buongiorno intimando i presenti a mettersi a terra puntando una pistola sui volti sbogottiti. Si cazzeggia con gli amici milanesi, mia cugina, il ragazzo e tutti gli amici che non vedevo da troppi mesi. Questa notte si dorme, in particolare io su un materasso che mia cugina ha detto che è magico perchè ha le molle separate che in pratica mantengono sempre dritto il corpo. Quindi dormirò tutto dritto.

Andrea Coffami feat. Angelo Zabaglio

Deja vù. Simone ha scritto il suo post e se ne è andato a dormire. Ha detto che si stendeva per scribacchiare un po’, ma era un bluff. Dopo due minuti sono andato a prendere una birra in cucina, dove siamo sistemati con le brande, e lui era già crollato. L’ho dovuto spostare, lui con tutta la branda, perché si era messo in modo che l’anta non si apriva.

Deja vù. Angelo scrive sul suo blocchetto, io sul mio, al suo fianco. Parliamo di mali e di malinconie. Siamo sul balcone, in questa casa non si fuma, c’è una donna incinta. Stiamo entrambi scribacchiando, e ci diciamo della difficoltà di scrivere in queste condizioni, stanchi ed in presenza altrui. Ma va bene, si deve fare e resisteremo.

Deja vù. Luca trascrive al pc quello che ha appena scritto sul suo quadernetto. Aveva sbagliato data, aveva scritto 27, ha corretto quando gliel’ho fatto notare, siamo tutti svalvolati, scrittori precari in viaggio, in cerca di quello che dobbiamo cercare. Oggi e San Pacifico e ieri era San Padre Pio. Che ci frega!?, direte voi. E invece ci frega. Luca voleva mettere per tutto il diario in calce il santo del giorno. Così, per San Gennaro, forse. Ma i precari non hanno santi in paradiso, al massimo qualche lettore.

Deja vù. Alex scriverà il pezzo stanotte o domattina e poi lo manderà, speriamo di trovarlo quando al primo internet point vi regaleremo il resoconto di questa nuova giornata.

Con Milano si conclude il tour metropolitano, domani e dopodomani avremo un palcoscenico diverso, ci attendono lochi più bucolici.

La precarietà del viaggio si sente giorno per giorno sempre di più, la stanchezza meno, forse ci siamo abituati, quasi non la sentiamo, oppure le risate che si consumano ogni giorno sanno pure farci rigenerare. Ed anche Milano è alle spalle. Lascio Giacomo La Franca, nostro ospite, e tanti amici alle spalle. E pensare che avrei pure potuto finire a viverci, erano quasi dieci anni fa, dovevo iscrivermi all’università, e se al capoluogo meneghino preferii mamma Roma era solo perché allora i prezzi degli affitti erano molto più cari, improponibili per me, e poi non c’era mai il sole, mentre Roma per tanti, troppi versi è ancora una città del sud, il sud che lasciai. Per un altro sud.

Intanto in questi anni a Roma i prezzi delle case hanno raggiunto prezzi esorbitanti, ed è dura, veramente dura. I tempi sono precari, come noi.

Gianluca Liguori