I precari al rientro

E’ stata impegnativa, per certi aspetti faticosa, ma l’esperienza del tour con Scrittori precari rimarrà come una tra le più forti e piene della mia vita. Condividere ogni singolo minuto per cinque giorni con quelle stesse persone (non solo le letture, ma i chilometri percorsi, il cibo e le bevande, i giacigli dove dormire, le battute e le scaramucce) che da mesi portano avanti un progetto comune, è una cosa che lascia il segno.
Questi cinque giorni hanno rappresentato una sorta di sospensione del tempo, in cui gli unici momenti da non mancare erano quelli del reading e della stesura dei diari quotidiani; il resto (mangiare, bere, dormire, etc) non aveva scadenze, il resto non era obbligatorio, non riempiva i vuoti come succede spesso con la quotidianità.
Abbiamo attraversato le regioni da sud a nord, siamo precipitati come oggetti misteriosi nelle città (Napoli, Firenze, Bologna, Milano) e approdati come visitatori sperduti nelle campagne e nei boschi, ma in qualche modo ci siamo sempre sentiti a casa.
Il tempo del viaggio si è momentaneamente arrestato, ma già abbiamo altre proposte per il futuro, e questa è la dimostrazione della validità di un progetto in cui la precarietà viene intesa in senso trasversale, come condizione generazionale e come modalità performativa, poiché piuttosto che uniformarci intorno a un manifesto stilistico abbiamo preferito ritrovarci in un approccio che mirasse ad aprire spazi liminali alla scrittura, dove far prendere corpo a tutto il lavoro virtuale svolto quotidianamente in rete.
La precarietà intesa quindi non soltanto come mancanza di progettualità, ma anche come senso di disorientamento: l’essere scrittori oltre la pagina scritta, l’inventarsi performer in spazi sempre diversi e non programmati; in parole povere ritrovare lo scrittore e il proprio ruolo in una terra sempre straniera.

Simone Ghelli