Carta taglia forbici – 2

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Una grande città dell’Europa occidentale

Quell’anno accaddero molte cose, e come tutti gli anni ebbe un inizio e una fine, ma nessun centro. Nessuno poteva dire, ecco, siamo a metà dell’anno, perché una volta iniziato proseguiva verso la fine senza mostrare a nessuno la linea che disegnava. Nessuno poteva dire, ecco, questo è il punto che divide la linea in due parti esattamente uguali.
Lui e lei condividevano una stanza in un appartamento vecchio e ristrutturato dieci anni prima. Le altre stanze erano abitate da persone che comparivano e scomparivano. Qualcuno era uscito e non era più ritornato. Altri vi avevano rimesso piede. Lui e lei erano il punto fermo in quella linea contratta, tagliata in segmenti asimmetrici. Si erano conosciuti dieci anni prima, ma quell’anno non avrebbero festeggiato. C’era crisi economica, c’erano la disoccupazione e la depressione. C’era anche l’inflazione, la sentivi che gorgheggiava nei supermercati e davanti agli uffici postali.
In dieci anni lui e lei non erano riusciti a cambiare la loro situazione: per situazione si intende quell’insieme di successi e insuccessi che portano gli individui a crescere, a farsi terrorizzare dalla morte, a pagare laute assicurazioni per dissacrarla, a sfidarla facendo un figlio, a solleticarla comprando una macchina, a darle il benvenuto acquistando una casa con un mutuo a tasso variabile.
Quindi, non essendo cambiata la loro situazione, data la loro immobilità sul fronte del lavoro e nella trincea della vita, in realtà rappresentavano la coppia perfetta. Le loro preoccupazioni erano abbondantemente sotto la media delle coppie di tutto il mondo.
Ma quell’anno incise profondamente sul futuro che non si erano ritagliati.
Accadde che lei trovò un lavoro fuori città, mentre lui continuava a lavorare in città.
Si vedevano nel fine-settimana, quando lei non era abbastanza stanca da chiamarlo e dirgli che era troppo stanca per raggiungerlo. Dal canto suo, lui lavorava tutti i giorni, sette giorni su sette, per cui non poteva muoversi dalla città, né chiedere un permesso. A volte lui pensava che se il Governo avesse decretato che la settimana doveva comporsi di 8 giorni, lui avrebbe lavorato per otto giorni. Passarono mesi. Tutto fermo, come sempre. Lei lavorava fuori e dormiva fuori. Lui lavorava in città e dormiva in città. La loro vita separata entrava e usciva da chiamate telefoniche.
In un punto impreciso, disegnato sulla linea immaginaria del decimo anno, accadde che un’amica di lei disse a un amico di lui che lei era molto stanca, e che non solo non sarebbe tornata quel fine-settimana, ma che era molto probabile che non sarebbe mai più tornata da lui. L’amico di lui glielo riferì, e lui si incazzò moltissimo. Ma non disse nulla. Poi lei disse alla sua amica che vedeva un tizio. Non si sa chi fosse. L’amica non ne parlò con nessuno. Infatti lui non lo seppe mai.
Alla fine, quell’anno, lei lo lasciò.

Una grande città lontana dall’Europa occidentale

Nessuno può dire di ricordarsi la vita così come è accaduta. Nel senso che gli avvenimenti non coincidono con i ricordi. Si può ricordare una vita completamente diversa, a distanza di venti, trent’anni. Perché certi eventi scompaiono per sempre dalla nostra memoria, oppure restano cambiando il colore dei vestiti, la posizione degli oggetti, come nella stanza di Van Gogh. Ecco, la memoria è la stanza di Van Gogh.
Suo padre, il padre di lui, era morto l’anno prima. Aveva vissuto una vita dura, ma era morto sereno. Suo padre era stato vecchio, e già questo era molto, viste le premesse. C’è da dire che il padre aveva settanta anni, quando era nato, e la madre trentanove. La madre era morta di parto e il padre lo aveva cresciuto da solo. Non c’erano nonne da cui portarlo o suoceri con cui dividere il fardello. Lui crebbe con il padre, che sembrava un nonno e forse lo era. Il padre aveva combattuto nella seconda guerra mondiale. Nel ’44 aveva diciannove anni. Il suo battaglione era composto da soldati coraggiosi, che bevevano poco e fumavano solo nei momenti più difficili. Suo padre era stato decorato con una medaglia, e alla fine della guerra il Governo gli trovò un lavoro in un ufficio, dove aveva una segretaria e il suo nome dipinto sulla porta. Nel ’44 l’offensiva anglo-americana schierò il padre in una seria di punti molti pericolosi. Il padre schivò pallottole e per fortuna ne uscì indenne. La medaglia coronò un lungo anno combattuto sul fronte. Il padre era cecchino. Aveva ucciso trentanove tedeschi. La Stato Maggiore premiava i cecchini. Alzavano il morale della truppa. Il padre, quando lui era un po’ più grande, gli raccontò tutto.
L’anno dopo la morte del padre lui si licenziò dal lavoro e prese un biglietto di andata e ritorno per la Francia. Scoprì che il padre era stato ricoverato sotto falso nome in un campo militare. Un prete, un gesuita, lo aiutò nelle ricerche. Un sopravvissuto riferì al gesuita che era sicuro di aver visto il padre in prigione, in un campo militare tedesco. Pare che il padre non fosse un cecchino, anzi, pare che non sapesse proprio sparare. In effetti quando lo portava alla fiera non sparava mai con i fucili ad aria compressa e lui doveva conquistare da solo le sue scatole di caramelle. Comunque, pare che il padre, così gli disse il gesuita, non avesse combattuto in nessuna delle battaglie che diceva di aver combattuto. Inoltre pare che per tutto il ’44 fosse stato in carcere. Ma perché non gli avevano sparato?, chiese al gesuita. Perché era un informatore. Aveva dato tutti i riferimenti delle zone di approdo delle navi. Così i tedeschi lo avevano tenuto in vita mentre i suoi lo avevano cercato per farlo fuori. Un altro sopravvissuto smentì completamente questa versione e disse che lo conosceva bene, se lo ricordava bene quell’ubriacone molesto. Aveva messo incinta tante ragazzine, durante quell’anno assurdo. Nel battaglione lo chiamavano trivella. Il gesuita non diede per buona quest’ultima versione, ma lui volle crederci.
Quindi tornò a casa, la ripulì, regalò i vestiti del padre a un’associazione di volontariato, scrisse varie lettere intestandole ai nomi di una lista che il sopravvissuto aveva redatto per lui. Cercava fratelli, sorelle, ora.

Marco Lupo