Di ombelichi e mondi immaginari

 Alcune riflessioni su Nina dei lupi, L’isola dei liombruni, Il senso del piombo, Nessun paradiso, Dreadlock!.

di Vanni Santoni

Si incappa spesso, tra blog letterari e pagine culturali dei giornali, nella parola “ombelicale”. Si dice che in Italia sia pieno di scrittori ombelicali, che il paese tracimi letteratura ombelicale, si grida e si auspica che la si faccia una buona volta finita con questi maledetti libri ombelicali. Io, che ho cominciato a scriver tardi, e ancora più tardi ho cominciato a leggere di libri, neanche capivo di cosa parlassero. Una volta ho chiesto a un amico scrittore, che mi ha detto: “Dai, tipo Philip Roth o Moravia!” A me Roth e Moravia piacciono molto, così quella volta sono rimasto un poco interdetto. Ma probabilmente il mio amico aveva fatto un esempio poco felice, e forse neanche lui aveva ben capito cosa fosse questa famosa letteratura ombelicale. Alla fine ho capito che il termine fa riferimento a romanzi in cui il sé – e un sé limitato, intimista, da coscienza con le porte ancora ben chiuse – è l’unico filtro; romanzi in cui non si disegnano immaginari, ambientazioni, labirinti, in cui non si aprono abissi di senso né si costruiscono mondi, preferendo stare in zona ombelico (e già che ci siamo masturbarsi pure).

A me pare che quelli che vedono ombelichi ovunque sbaglino, e che anzi in Italia, oggi, di mondi se ne creino parecchi, e che siano pure belli. Dirò di più: che si sia superato anche un complesso che avevamo in Italia nei confronti della creazione di mondi nuovi (ricordo che da adolescente mi chiedevo, affranto, perché Dylan Dog, che pure amavo, si limitasse a scopiazzare questo o quel film horror, mentre in giappone Berserk aveva il coraggio di reinventare il nostro medioevo) e che si sia giunti non solo fuori dalla dimensione ombelicale, ma anche da quella derivativa.

Prendiamo per esempio Nina dei lupi di Alessandro Bertante (Marsilio), esempio lampante di questo superamento, di questa nuova abilità. Il tema post-apocalittico è di quelli che ti volti un attimo e ti scopri già con un piede nel cliché – anche un gigante come McCarthy ne La Strada a volte cade nel madmaxismo – e invece Bertante riesce a declinarlo a modo suo: con più o meno volontarie suggestioni pop di diverso ordine – qualcosa dentro a Nina dei Lupi a me ricorda La principessa Mononoke – ma soprattutto con la costruzione, effettuata senza rinunciare al discorso politico, di un immaginario nostrale, genuino e nuovo a un tempo: mentre lo leggevo, questo romanzo mi riportava all’infanzia, a quando giocavo a far battaglie o esplorazioni nelle foreste di Vallombrosa e vedevo nelle case di pietra mezze abbandonate, nelle imposte di legno pieno delle cascine di bosco, la possibilità di un’umanità diversa.

Parlando di suggestioni infantili, mi viene inevitabile passare da Nina dei lupi a L’isola dei liombruni, di Giovanni De Feo (Fazi), altro esempio di letteratura assolutamente non ombelicale: qui la traccia fondante risale evidentemente a Il signore delle mosche di Golding – con un pizzico di Lost – ma, come Bertante, De Feo riesce a creare un universo proprio, originale soprattutto nelle atmosfere. Un universo che affonda le sue radici nei ricordi di certe esperienze, comuni a chi ha avuto un’infanzia in quella classe media italiana che ancora ogni estate passava un mese o due al mare; nei ricordi di quella vita di gruppo fatta di innamoramenti e fazioni e serate in spiaggia, tipica dei preadolescenti in villeggiatura. Un universo solo apparentemente rassicurante: perché le età d’oro, come le preadolescenze, finiscono, e quando lo fanno proiettano all’orizzonte lampi di futuri possibili e senz’altro insanguinati.
E con foschi futuri possibili ha a che fare Nessun Paradiso di Enrico Piscitelli, da poco uscito per Round Robin, che dopo un inizio apparentemente intimista –  «Avrei voluto fare boxe… » – va altrove e conferma che in questo momento in Italia si lavora sugli scenari ben più che sugli ombelichi: sebbene il tono del romanzo di Piscitelli sia molto più strettamente politico di quelli di Bertante e De Feo, la sua Venezia pure è un mondo nuovo, all’interno di un altro mondo nuovo: il suo essere già di suo postapocalittica ribalta le carte, ne fa un luogo di resistenza e di sentimento in un sistema distopico e opprimente.

Contro il sistema, ma in direzione del tutto opposta a quelli di Piscitelli, si muovono i protagonisti de Il senso del piombo di Luca Moretti. Ma come, dirà qualcuno, cosa c’entrano i NAR? Quelli esistevano per davvero, quella è storia.  È vero, è storia. Ma è una storia schifosa, di brutta gente, di gente cieca e assai presto strumentalizzata, e dunque una storia ben diversa da quella raccontata da Moretti, che ridisegna lo spontaneismo armato neofascista in un quadro epico – ribellistico, addirittura – nel quadro insomma, viene da pensare, che immaginavano loro: e dunque ecco il punto, e la bontà, de Il senso del piombo: il creare un universo nuovo, una dimensione interpretativa del tutto finzionale di fatti reali, grazie alla quale è tuttavia possibile trovare nuovi spunti di interpretazione dei fatti.

Proprio dall’incrocio tra reale e immaginario nasce Dreadlock! di Jacopo Nacci, appena uscito per la collana 9volt di Zona. Reale come la Bologna studentesca, immaginaria come un supereroe rasta che vi si muove, un supereroe la cui identità segreta si manifesta quando il suo alter-ego, un normale studente di nome Matteo, fuma una speciale canapa cresciuta sulla tomba di Re Salomone. Tutto, da queste premesse, potrebbe far pensare alla boutade, all’ennesima parodia, rivisitazione o messa in discussione del genere supereroistico. E invece no: con una perizia e una dedizione che mettono i brividi, Nacci prende tutto maledettamente sul serio, e usa anzi lo spunto supereroistico per dare vita a un mondo immaginario – un mondo dove esiste la Bologna studentesca e anche il cazzuto supereroe Dreadlock – non solo coerente formalmente e filosoficamente, ma anche in qualche modo consapevole dell’essere maya, illusione, come del resto tutti i mondi, innanzitutto quello di chi sta scrivendo – o leggendo – questo pezzo, con buona pace dei nostri ombelichi. E dunque, se come dice Nacci (o gli Steel Pulse),  «Babylon makes the rules », ciò non toglie che questo potere lo abbiano anche gli scrittori.

“Estate crudele” – un estratto

[Questo breve estratto è tratto da Estate crudele, romanzo al quale sta lavorando Alessandro Bertante]

 

Antonio sta lavorando. Insieme a lui s’intrattiene un uomo di fuori città, quelli li riconosco al primo sguardo.

Una brava persona che viene dalla provincia e che fa decine di chilometri con la sua lunga automobile berlina grigio nera metallizzata per succhiare cazzi di giovani ragazzi brasiliani. Sono tutti uguali quei tipi di uomini: impacciati all’inizio e poi rozzi e prepotenti. Quando si abituano alla lordura che li avvolge, pretendono di possedere ogni centimetro del corpo che hanno pagato. Vogliono tutto, come sempre, come tutti quanti, e non possono aspettare. Perché loro lavorano sodo! Ogni santo giorno della settimana lavorano nella regione pedemontana delle antiche foreste perdute. Dal mattino fino alla sera lavorano, non potrebbero fare altro che la loro razza non conosce altri modi di trascorrere il tempo. Hanno la fabbrichetta, hanno le scarpe marroni, hanno l’agenzia immobiliare, hanno le cravatte grosse, hanno l’auto grossissima, hanno le fedi d’oro, hanno i centri commerciali sberluccicanti di tristezza, hanno il bar nella piazza, hanno la pizza al taglio che è uguale ovunque ed è un antico retaggio di povertà, hanno la macelleria e ce l’avevano pure i loro padri, quelli che hanno costruito i capannoni sulla statale intasata che non finisce mai e che adesso sono vecchi e stanno rinchiusi nella villa monofamiliare con il giardino cintato e la pistola nel cassetto. Hanno tutte queste cose ma non bastano più.

Questi uomini la domenica, quando non lavorano e possono fare il loro dovere, vanno a messa con la famiglia e sono soli nella chiesa vuota e fredda e intasata di menzogna e di paura antica ma loro in realtà se ne fottono perché il lunedì si ricomincia a tirare su denaro e quella è solo una mascherata che tocca farla per zittire la gente che nei paesi è grama e malfidente. Dovranno pure concedersi qualche ora di ebete rinuncia, questi sono uomini che lavorano mica passano i pomeriggi a fare niente come me che sono un fallito e un malfattore senza futuro.

Questi uomini dabbene tristi lavoratori indefessi credono di vivere nella megalopoli della produzione che non finisce mai di aumentare, dove tutto vale, dove le differenze fra le persone sono sfumate nell’unico grande pensiero del consumo, dove tutto si può fare e non ci può essere alcun cedimento né alcuna compassione per le debolezze della gente che mangia e caga lontano da loro. Tutto sembra poter cambiare veloce, sembra crescere, migliorare, raggiungere vette di efficienza rassicuranti. Ma è falso, questa è la più grande menzogna che dobbiamo sopportare, qui non si trasforma più niente, tutto è guasto, indegno e caduco dentro all’assurda megalopoli della fabbrichetta che ha preso il posto del lago Gerundo sulle cui rive i popoli parlavano alla natura ricevendo in cambio saggezza.

Questi uomini sono padroni, non padroncini. Questi uomini sono il vanto della piccola imprenditoria italiana che ci ha fatto conoscere nel mondo. E ci ha fatto pentire di starci. Questi uomini capi di famiglia ci impiegano poco a mutare pelle. Si abituano allo squallore, alla rumenta della vita, si abituano e finalmente si riconoscono davvero. Lo vogliono prendere in bocca, bramano il cazzo giovane, palpitante fra le labbra.

È bello il cazzo, è sincero, è immediato, è l’unica cosa vera nella loro vita di menzogne. E dopo altri tre o quattro incontri, si fanno coraggio e lo prendono anche nel culo, proprio quel cazzo giovane sudamericano perché lo hanno sempre desiderato e ci sono affezionati, perché loro in quel momento diventano capaci di amare. Sborrano dentro al culo di un ragazzino, si lavano il cazzo nel lavandino e poi escono e subito montano in macchina.

Prendono l’autostrada e in silenzio tornano a casa. Soli a notte fonda, lontani dalla moglie, nella luce fioca del bagno degli ospiti, si guardano allo specchio della loro anima.

Non mentono più, sono felici, tornano bambini.

Fanno tanta strada, raggiungono la metropoli, solo per quel breve, inestimabile, attimo di verità.

 

Alessandro Bertante

Leggere è pericoloso

Venerdì ha nevicato su Roma e i romani andavano in giro con l’ombrello: quattro fiocchi di neve hanno paralizzato la città: l’inadeguatezza di rapportarsi con l’insolito.

Sabato era già tutto finito, c’era un bel sole e la neve è rimasta soltanto nelle fotografie. Verso le due sono passato a prendere mia sorella per accompagnarla in libreria, doveva comprare un dizionario: io le ho consigliato di prenderne uno antecedente l’avvento di internet, perché poi sono spariti un bel po’ di lemmi, per dar spazio al nuovo linguaggio tecnologico: una bella tragedia.

Intanto, per la strada, ad una bancarella dietro piazza della Repubblica, ho trovato, e comprato per soli 15 euro, uno Zingarelli del 1954. In tutti questi anni, ho sempre utilizzato il mio Devoto-Oli: mi fu regalato, su mio espresso desiderio, quando ho fatto la prima comunione, sarà stato il ’91-’92. A che età si fa la prima comunione?

È finita che anche per mia sorella abbiamo comprato un Devoto-Oli, l’ultimo, edizione 2010, ma senza il cd-rom: vincono sempre loro.

“Se ti occorre qualche definizione che non trovi mi scrivi e te la ricopio in chat”, le ho detto.

Abbiamo fatto un giro per la libreria. Sorvolo sui tanti, troppi volumi che non avrebbero ragion d’esistere: la letteratura è sempre più rara nelle librerie: è come cercare il vino buono al supermercato: quando lo si trova, spesso è a prezzi esorbitanti.

I problemi dell’editoria italiana sono tanti e complessi che scriverne in un breve post sarebbe riduttivo e controproducente, lasciamo perdere.

I libri costano troppo; mi capita troppo spesso di dover rinunciare a letture desiderate a causa dei prezzi esorbitanti stabiliti dagli editori (spesso in combutta con i distributori): questo fa male alla letteratura: occorre trovare nuove forme di resistenza.

Si dice chi cerca trova, e spesso è vero: me ne sono andato felice dalla libreria: nella sezione usati e a metà prezzo ho trovato tre libri, che avrei voluto leggere ma non avevo potuto a causa dell’eccessivo costo d’uscita: Al Diavul (Marsilio, 2008) di Alessandro Bertante, Strane cose, domani (Baldini Castoldi Dalai, 2009) di Raul Montanari e I Cariolanti (Elliot, 2009) di Sacha Naspini: ho speso 25,25 euro, comunque troppo, ma a prezzo pieno avrei pagato 50,50 euro: tre libri, due giornate di lavoro: c’è qualcosa che non va.

Per ovvie ed evidenti ragioni, non mi aspetto che il Governo si occupi di queste cose, per carità, d’altronde pare abbia altre priorità, e non parlo di disoccupazione naturalmente: quanto va al chilo, la cultura?

Gli italiani, dicono le statistiche, non leggono più (e si vede!, direbbe una pecora). La mancanza di cultura e di informazione (ma anche di interesse e curiosità, aggiungerei) è probabilmente la causa principale della regressione democratica e culturale del nostro paese. Ripeto: occorre trovare nuove forme di resistenza.

Una bellissima iniziativa, come spesso ultimamente, viene dal web: Alberto, un ragazzo di Empoli di 22 anni, appassionato lettore, è rimasto, giustamente, sconcertato dal dato che una persona su due in Italia non legge un libro in un anno e ha lanciato sul suo blog e su facebook un’idea: il 26 marzo regala un libro ad uno sconosciuto.

Il gruppo su facebook vola verso le 200.000 adesioni in poche settimane. Una giornata dove decine e decine di migliaia di libri passino di mano in mano: un momento d’incontro, d’avvicinamento all’altro in quest’epoca individualista: per non dimenticare l’umanità.

Certo, considerato che lo scopo è quello di far nascere nuovi lettori, scegliere un libro, uno solo, è una faccenda complicata: deve essere un capolavoro, senza dubbio, ma non troppo complesso, serve una buona scrittura, una bella storia, degli elementi di empatia tra la narrazione ed il lettore. Vi auguro una buona scelta.

La lettura rende consapevoli. Lo sanno anche le pietre, una persona consapevole è una persona libera.

Regala anche tu un libro: una nuova forma di resistenza.

Gianluca Liguori