Let. In. 10
giugno 26, 2012 4 commenti
[Diventa anche tu uno scrittore inesistente su Scrittori precari: invia i tuoi Let. In., seguendo queste istruzioni, a carlo.sperduti84@gmail.com. I migliori saranno inseriti nelle prossime puntate della rubrica]
Let. In.
Antologia di Letteratura Inesistente a cura di Carlo Sperduti
(#1 – #2 – #3 – #4 – #5 – #6 – 7# – 8# – #9)
DEL CIBO
Il biscotto dimezzato
di Italo Colvino
Due fratelli gemelli si contendono l’ultimo Plasmon della confezione da 750gm. Dramma psicologico dalle tinte forti per l’ultimo capolavoro di Italo Colvino.
Angelo Zabaglio a.k.a. Andrea Coffami
Il dessert dei tartari
(Ed. L’Assaggiatore)
Ricettario basato sulla gastronomia militare. In questo testo sono documentate le ricette in uso presso le guarnigioni di frontiera che, durante i lunghi e tediosi turni di vigilanza, sperimentavano piatti che univano ricette tradizionali ed elementi delle varie cucine locali. Per i primi piatti è possibile trovare ricette interessantissime, come “spaghetti alle mongole”, come il “cous cous della val brembana” o come gli “gnocchetti al ragù di gnu”.
Per i secondi gli autori consigliano ricette come “Stinco di zebra al nero di seppia” o come il “brasato di ornitorinco alla birra” o gli ancora più esotici “scorpioni alla piastra”.
Un settore particolare, intitolato Avanzi marsch, è dedicato al recupero del residuo del pranzo del giorno prima. Qui la fantasia dei gourmet con le mostrine si è davvero scatenata con “torte rustiche con cavallette arrostite e squame di ramarro” o come il “brodo di armadillo” cotto direttamente nel guscio.
Non mancano, chiaramente, i dolci, come quello che dà il titolo al volume, a base di uova ed eseguito rigorosamente con i piedi, o l’esotico “tiramisù al curry”.
Colpisce il motto con cui l’autore apre il volume: «Con la cucina, io mi drogo.»
Bruno Di Marco
Una pita violenta
di Piergiorgio Pisolini
È la storia di Alfredo Mazzetti, giovane precario fuori sede che divide un appartamento a Tor Pignattara con altri due studenti.
La loro vita si dipana tra esami rimandati, lavori part time e spese al discount sotto casa. Durante la giornata frequentano qualche lezione all’università, più spesso dormono della grossa per smaltire l’effetto incrociato di hashish e vino scadente; alcune volte provano a turno a vendere qualche contratto telefonico o connessione internet, ma con scarsi risultati.
Insomma, la loro è quella che si potrebbe definire una vita banale in tempi di crisi, se non fosse che il Mazzetti ha una fissazione piuttosto particolare per la pita, che consuma in gran quantità dai kebabbari sotto casa, e per la quale non bada a spese. Nei periodi di astinenza è capace di tutto, persino di minacciare il proprietario pakistano (o forse egiziano, ma nella concitazione del momento Alfredo non si trova nelle condizioni psicofisiche ottimali per dirimere la questione) con una forchetta di plastica lasciata da un cliente sul tavolo, perché non vuole fargli credito.
A spezzare questa monotonia giunge un giorno, imprevista, una malattia terribile e sconosciuta, che costringe il Mazzetti a letto con la febbre altissima. Durante un delirio della durata di tre giorni, egli sogna in technicolor tutte le favole tratte da Le mille e una notte, con una tale vividezza di dettagli da ricavarne un’interessantissima sceneggiatura per un film – che, malauguratamente, nessun produttore si sognerà di prendere sul serio, nonostante i suoi ripetuti tentativi (senz’altro esilaranti, viste le condizioni pietose in cui si presenta alla porta di questi soggetti facoltosi).
Il mistico sogno, unito all’amore per la cucina araba, sortisce però un effetto miracoloso, poiché convince il protagonista, tra mille ripensamenti (e in modo un po’ confuso, a dire il vero, poiché non si comprende bene la concatenazione degli eventi), a esercitare infine il proprio diritto di voto, premiando in sede elettorale il partito radicale, che si è reso protagonista di una violenta battaglia per l’ottenimento della “pita d.o.c.g.” – in luogo del canonico sciopero della fame, i radicali organizzano una grande abbuffata di cibo piccante, i cui effetti verranno sedati soltanto da una lavanda gastrica collettiva (una scena, questa, che il Pisolini carica di forti valenze politiche attraverso la descrizione grottesca dei personaggi).
Alla svolta politica segue da vicino quella religiosa, poiché il Mazzetti, invaghitosi di una giovane algerina, si converte all’Islam e si mette in società con la sua famiglia, che dapprima l’assume per le consegne a domicilio, e infine lo promuove dietro ai fornelli del proprio ristorante.
Purtroppo, proprio quando la vita del Mazzetti sembra volgere al meglio, tra vari inchini e salamelecchi, ecco tornare la misteriosa malattia a scombinargli i piani e a togliergli quel sapore mai gustato di lavoro e amore a tempo indeterminato. In una calda giornata d’agosto, la sua brama di pita si rivelerà infatti fatale. Incapace di resisterle, il protagonista addenta un avanzo lasciato sul tavolo da un cliente abituale, dal quale contrae un nuovo terribile morbo che se lo porterà via nel giro di una settimana.
Durante questo secondo delirio, egli parla in una lingua incomprensibile, miscuglio di romano e d’arabo, che impedisce ai suoi cari (e in parte anche a noi lettori) di afferrare il senso delle sue ultime volontà (che, ma è una mia interpretazione critica, sembrerebbero accennare a una fantomatica “internazionale della pita”).
Affresco sulla mediocrità dei nostri tempi, critica amara nei confronti di una società incapace di diventare finalmente multiculturale, Una pita violenta è stato acclamato dalla stampa come «un pamphlet politico che ci apre gli occhi stuzzicandoci il palato, lasciandoci infine con qualcosa d’indigesto nello stomaco».
Simone Ghelli
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